martedì 29 maggio 2012

Heartquake

E' quando la vedi che tutto intorno comincia a tremare, crollano i grattacieli, esplodono le montagne, si vacilla come equilibristi sulla fune. 

Si è legata i capelli con un elastico scuro, forse oggi riuscirai a dirle sei bella, scala Richter 3.4, a farle una carezza, scala Richter 6.3.
Avrei solo una vita e la vorrei passare con te. E neanche tu sai bene come ci sei riuscito, il cuore si apre e si richiude vorace, quasi cercasse di respirare a fondo, per riprendere fiato.

Hai bisogno di aiuto, tendi la mano, hai paura di tutto questo amore che potrebbe crollarti addosso all'improvviso, qualora lei ti voltasse le spalle.

Se il cuore ama e distrugge forse è fatto di terra.

giovedì 24 maggio 2012

Vicinanza

Quando parlo uso spesso l'espressione "mi è venuto il fotone".

Ho trovato i miei orecchini preferiti sul comodino di mia sorella e mi è venuto il fotone.
La gatta mi ha pisciato sulla sacca della palestra e mi è venuto il fotone.
Erika e Lucia sono arrivate coi soliti 45 minuti di ritardo, mi è venuto il fotone.

Dicesi "fotone" quella rabbia improvvisa, azzarderei fulminea, solitamente accecante che ti intasa le vene del collo quando qualcuno non fa le cose come vorresti, o come dovrebbe.
Sono soggetta a fotoni brevi, intensi e frequentissimi.

Ultimamente mi viene il fotone tutte le volte che esco per andare a leggere sull'amaca, nel giardino dietro casa.
Guardo dove una volta si vedevano le montagne, da lì in estate arriva il fresco che ti solletica il collo, e vedo una bella impalcatura di due piani e mezzo e una casa di mattoni ancora da finire.

I miei vicini hanno avuto la brillante idea di costruirsi un'altra villetta che dà proprio sui fatti nostri.

Mi viene un fotone terribile perché non posso farci niente, al massimo far crescere una siepe, no, Ilaria a quello ci pensa il papà e tuo papà vuole mettere il bambù. 
Ancora bambù?

Devo trovare una soluzione per sfogarmi, tendendo in considerazione che non posso tenere il muso a nessuno, né impiantare una grana.

E quando sono a tavola li vedo. Una bella scatola di Raudi, piena fino all'orlo. 
Capodanno 2011.
Sono petardi grossi come un mignolo, quando esplodono fanno un rumore importante, abbastanza forte da convertire immediatamente il mio nervosismo in simpatica burlonaggine.

Ne faccio esplodere qualcuno quando c'è silenzio. 
Quando vorrei godermi il mio bel paesaggio e invece ci sono solo una betoniera e una gru.
Quando i miei vicini, possibilmente, dormono.

BAAAAM!

E il fotone è passato.







domenica 20 maggio 2012

Maieutikè

Guardiamo la finale di Champions, Chelsea-Bayern. Io tifo gli austriaci. 
Ilaria, in caso tedeschi, Bayern Monaco, Germania. 
Bé, tifo per loro perché hanno la maglia giallo rossa. 
Ilaria, è bianco rossa, ma ci vedi? 
No, non ci vedo, ho gli occhiali in camera e non ho voglia di andare a prenderli.
Di fatto, vincono i londinesi ai rigori.
Decidiamo di uscire, fanno un concerto all'Arcadia, chiedi a tua sorella che musica suonano.
Post-rock-doom.
Andiamo verso, nonostante io mi stia chiedendo che cazzo voglia dire post rock doom. Quando arriviamo scopriamo di dover pagare. Marco mi chiede, allora, cosa vuoi fare? Dai decidi tu, che a me questo genere non interessa più di tanto, possiamo andare a berci una birra da qualche altra parte.
Ho la malaugurata idea di rispondere, per me è veramente indifferente.

Scatta la predica.
Ilaria, ma come può esserti indifferente? O una cosa ti va o non ti va, come puoi mettere sullo stesso piano due scelte opposte? Sai, l'indecisione non porta a niente. Ricordatelo. Bisogna essere pratici, una cosa ti piace o non ti piace. Allora, cosa preferisci, andiamo o restiamo?

Per praticità dico, andiamo a bere, per farlo smettere prima.

Mai l'avessi fatto.

Ecco, lo vedi che avevi una preferenza?!? Mi tocca tirati fuori tutto? Lo sapevo, un po' di carattere, amore mio! Devo usare sempre la maieutica? (ebbene sì, ha detto proprio MAIEUTICA).
Dai, andiamo a prenderci sta birra, e impara a scegliere autonomamente.

Io continuo a pensare che mi era davvero indifferente restare o andare.

E poi capita che Marco apra il menù.
Chi lo conosce avrà già intuito, su Marco e il cibo si potrebbero scrivere interi libri.

Oddio, non so cosa scegliere, c'è troppa roba buona.
Secondo te cosa scelgo? 

Quando abitavamo a Padova al supermercato si bloccava in mezzo alla corsia. Voleva comprare tutto, nonostante la lista. Ilaria, sono paralizzato, aiutami! Così o lo tiravo per un braccio, portandomelo dietro senza ascoltarlo come coi bambini, o lo abbandonavo da solo col carrello. Fai tu, basta che la pianti.

Ed ecco,  non sa che panino ordinare. Li valutiamo tutti. 

P a z i e n t e m e n t e.

Si sbaglia pure e mi chiama mamma. Mamma, hai guardato le focacce?

Maieuticamente potrei estrapolare se vuole una bruschetta, o un cheeseburger.

Fortunatamente ho studiato lettere, non filosofia. 
Decido per lui senza tanti giri di parole.

E vissero per sempre felici e contenti.





giovedì 17 maggio 2012

Fisiognomica

Ti svegli e hai gli occhi cambiati, si sono fatti adulti, meno tondi, hai asciugato sguardi gravidi anziché rompere le acque, così ti ritrovi il deserto dentro il viso, davanti allo specchio ti senti perduta.

In città i  "Compro Oro"  hanno ingoiato i negozi stanchi, come al cimitero, si strappa la tomba vecchia per piantare un morto nuovo, ricoperto di fiori e marmo bianco.

Forse avresti dovuto capirlo allora, che il tempo non è più lo stesso. E che la fatica degli anni macchia le mani anche se per una vita ci hai spalmato la Nivea.

Vicino al comune hanno sventrato una banca. Sono spuntate vetrate scure e porte automatiche. Ci infilo dentro la testa per vedere che forma abbia un casinò atterrato, chissà come, in una cittadina perbene.

Ci sono le slot-machines e uomini neri col cartellino al collo. 

Hai venduto la collana di tua madre perché dovevi pagare il dentista.

Qualche volta ti senti triste, quando ti pare che la crisi abbia rimpicciolito il mondo e a te non rimane che guardare quello che resta

lunedì 14 maggio 2012

Comunicazione di servizio

Il mio utente fb è stato bloccato, pagina del Pesce inclusa. Credo mi abbiano censurato perché ho usato la parola "orgasmo". In attesa che la situazione migliori, vi porgo i miei saluti più ribelli, 
Buon orgasmo a tutti.

Sempre vostro,

Pesce Volante


venerdì 11 maggio 2012

Palle e bazuka

Primo giorno. 82 chilometri. 12 ore sprecate. Ambientazione.
Gli uomini in scatola non possono parlare, scrivono al computer, vanno in bagno solo se sta per scappare. 
Posso guardare le mail in pausa pranzo? Non si potrebbe. Sappi che tutti i computer sono controllati periodicamente. Anche il tuo.

Secondo giorno. 164 chilometri. Sconforto.
Suona la sveglia e bestemmio prima ancora di scendere dal letto.
Scusa, ma per questa settimana ti diamo da archiviare fascicoli. Porta pazienza. Penso a Kafka, forse dovrei dargli un'altra chance.
A pranzo decido di uscire. Intorno c'è solo asfalto. Penso che potrei suicidarmi, ma poi mi viene in mente il telegiornale e chi si è suicidato per davvero, perché un lavoro non ce l'ha. Mi vergogno e colo verso il fondo. In autostrada comincio a piangere, mi trasformo in un diluvio, e non riesco a smettere.
Mia madre non mi consola, sa che  tutte le tragedie hanno una fine.
Comincio a elaborare vie di fuga.
Tira fuori le palle, mi dice. Decido di tirarle fuori. Palle e bazuka.

Non piangevo per la fatica, facevo il funerale al tempo sprecato, ché quando muore lo seppellisci per sempre.

Terzo giorno. 282 chilometri. Aiutati che il ciel t'aiuta.
Se non gira si fa girare. Comincio a fare amicizia, gli uomini in scatola sono come tutti gli altri, solo più efficienti e funzionali, uno stipendio indeterminato in cambio di euro determinati, trenta milioni in un anno. A fine mese ti convertiamo in numero, se non hai prodotto abbastanza sei scartato.
La statistica appiattisce le variabili umane.

Quarto giorno. 328 chilometri. Ilaria's back.
Per farmela passare comincio a immaginarmi come potrei offendere, nel peggiore dei modi, ciascuno dei miei colleghi, nel caso ci fosse una rissa, non si sa mai. Penso anche a come potrei distruggere tutti i documenti, nel modo più veloce possibile. Fuoco ed estintore.
Mi sono ripresa.
Tengo stretti in mente Marco, i libri, l'Eri e tutte le parole che sento scorrermi nel sangue e che non ho potuto fissare da qualche parte.

Quando diventerò presidente Confindustria vi salverò, ci salveremo, tutti quanti.
E' una promessa.



venerdì 4 maggio 2012

Shakespeare

Da qualche parte c'è un diario da bambini, con la copertina morbida e il lucchetto dorato. 
Lo vorrei ritrovare.

Per diversi pomeriggi di un'estate degli anni Novanta decido di intraprendere la carriera di regista.
Regista e attrice. 
So a memoria Romeo e Giulietta, ho visto talmente tante volte il film di Zeffirelli che mi viene un'idea brillante.
Riscrivere la scena del balcone. 
Ovviamente obbligo mia sorella a sostenere il mio progetto. Lei lo sostiene se le regalo le Big-Babol alla Coca Cola e il mio Labello alla fragola. Mi sta bene.

Scriviamo il copione a quattro mani. Giulietta deve rifiutare Romeo. E deve farlo facendo ridere. Così ci infiliamo dentro le rime, che secondo noi bambine hanno il ritmo dell'allegria. Facciamo rimare le parole proibite, quelle che abbiamo imparato dai compagni di scuola, balcone-ciccione, ciccione-culone, culone-merdone.

Recitiamo in corridoio. Abbiamo aperto la scala di alluminio. Mia sorella si siede in cima, le ho messo in testa un velo azzurro. Mia madre ci applaude e io mi sento fiera.
Così lo voglio rifare ancora, ancora e ancora.

Finisce che mia sorella si stufi. 

-Io non gioco più.
-Non puoi, ti ho pagato.

Lei semplicemente scende dalla scala, si toglie il velo e con quello mi frusta. 
Io prendo il diario e cerco di tirarglielo in faccia.

Poi mi pento. 

-Se continuiamo anche domani ti regalo quello che vuoi.

E così reinterpretiamo l'atto primo del Sogno di una notte di mezza estate.

Poi succede che mia madre mi spedisca a comprare la carne in macelleria. 

Decido che forse preferirei fare la macellaia. 
La pollivendola, tutt'al più.







mercoledì 2 maggio 2012

Una pseudorecensione.

Vi scrivo per togliermi il peso che mi ha lasciato addosso il libro che ho appena concluso.
Ve ne parlo perché è stato un pugno nello stomaco, un pugno forte, sia chiaro.

Capita che legga una recensione, si tratta di Sofi Oksanen, Le vacche di Stalin.
La paragonano alla Kristof.
Chiudo il giornale, mi vesto e vado a ordinare il libro senza neanche stare tanto a rifletterci.
Devo averlo per scoprire se è vero. Punto e basta.

Estonia, Finlandia.
Vengo catapultata in due regioni grigie, che mai ho attraversato, né coi piedi né coi libri. Arrivo in terre dure, la Oksanen me le racconta attraverso due personaggi, Anna e sua madre Katariina. Che devono fare i conti con il senso di estraneità che ti si infila sotto la pelle quando non hai radici, sei in bilico su due mondi che non riesci a volere abbastanza, li guardi da lontano, così ti trovi a dover riempire una nostalgia.
La nostalgia di chi non ha una casa, Anna la riempie con il cibo.
Il cibo è utile solo se vomitandolo riesci a  svuotare lo stomaco dai sentimenti, vergogna o paura, fa lo stesso. Se li butti nel cesso puoi tirare lo sciacquone. Puoi dimenticarli.
In  Le vacche di Stalin la lontananza sa di fame. Quella patita in dagli antenati, nonni di Anna, deportati dall'Estonia in Siberia, e quella in cui la protagonista trova rifugio.

Lo so, non sono brava a scrivere recensioni, ma detesto dilungarmi in troppi dettagli. Questi devono bastare. Allo stesso modo, però, vorrei inondarvi di parole e scaricarmi .

Di fatto è vero.

La Trilogia della città di k e Le vacche di Stalin ti lasciano dentro la stessa sensazione, che è disorientamento, credo e anche miseria. Possono richiamarsi.
Non sono la stessa cosa, attenzione. Ma la scrittura, scarna e lucidissima, è un bisturi che si conficca sotto le costole e ti ferisce.

Non credo che quello della Oksanen sia un bel libro. Credo sia un buon libro. Probabilmente ottimo.
E' diverso.

Comunque, brava.
Da ricordarsene.