lunedì 30 dicembre 2013

Una presentazione

Il tempo era bello e io avevo le placche in gola. 
Partiamo lo stesso, dico a Marco, così carichiamo le valigie sulla Punto, che da metà tragitto segnala che gli airbag sono andati fuori uso. Ci terrorizziamo per cinquecento chilometri. 
Era una primavera grassa, la terra gonfia d'acqua aveva fatto spuntare l'erba nuova, di un verde allegro, gli alberi carichi di fiori parevano voler nevicare, invece profumavano. La Toscana era morbida e noi l'attraversavamo ascoltando la radio, io avevo tolto le scarpe per appoggiare i piedi sul cruscotto, comincio ad essere agitata, avevo detto a Marco, non devi, mi aveva risposto.

Montepulciano è una città di tufo piena di salite, o discese se la percorrete dall'alto o siete ottimisti. L'avevamo attraversata veloci per arrivare alla presentazione in orario, col risultato di essere al caffè troppo in anticipo, come sempre.
Lo scrittore era lì, beveva un thè, forse un cappuccino.
Avevo preso Marco per mano e l'avevo trascinato al tavolo più in fondo. Lui aveva ordinato un bicchiere di vino, io una piadina e un tè caldo, 18 euro in tutto, abbiamo scoperto dopo.
Saremo stati almeno una trentina, forse di più, che per una presentazione di un libro è davvero tantissimo. C'erano un  pianista con le spalle curve e un attore con gli occhi tormentati, entrambi vestiti di nero ed egocentricamente accordati.

Lo scrittore invece quando racconta dilaga nella stanza. Ha gli occhi di ferro e le parole gentili. Penso che vorrei scappare, è più serio di quanto credessi e io sono timida come ho sempre saputo.
Marco mi aveva tenuto ferma come i bambini, vai a salutarlo, mi aveva ordinato. 
Con la scusa del bagno ero riuscita a darmela a gambe, mi ero fatta largo tra le persone ed ero uscita fuori. Dentro la via era calata la sera e si erano accesi i ristoranti insieme alle stelle. La voglia di fiorentina mi era passata lasciando lo spazio a un desiderio di xanax.
E poi. Sapete, poi è capitato tutto velocemente. 
Marco mi ha raggiunta, ha provato a convincermi con le buone, poi con le cattive poi con i sensi di colpa, quelli funzionano sempre e comunque.
Sono rientrata e mi sono messa in fila. 
Il cuore rimbombava e mi frantumava le costole, la voce diventava vischiosa intrappolando i pensieri, dentro le guance esplodeva la vergogna e le faceva bruciare.
Quando è venuto il mio turno ho pensato fanculo al mondo, o la va o la spacca.

Non voglio l'autografo, gli ho detto, sono venuta da Vicenza solo per dirti ciao. Sono il pesce volante.

Lui ha allargato gli occhi spalancato le braccia e poi avrei voluto morirgli addosso. 
Sapete, invece mi ha abbracciato, ho farfugliato qualcosa e per fortuna sono rimasta viva, che i giorni felici cancellano tutto il resto.

Buon anno!

lunedì 23 dicembre 2013

Uno spettacolo

In spiaggia sette anni fa ho conosciuto uno che ho sospettato subito. Vorrei fare l'attore, mi aveva detto. Io la scrittrice gli avevo risposto. Quando la sera abbiamo cantato al karaoke davanti a una platea di crucchi ammollati a bordo piscina ho capito che probabilmente ci sarei potuta andare d'accordo.
Riassumo così i nostri sette anni: io ho continuato a scrivere, lui a recitare. Si è diplomato all'Accademia del Verdi e poi è diventato regista. Questo novembre ha debuttato allo Stabile del Veneto, insomma in spiaggia nessuno dei due aveva raccontato cazzate.

Non mi ricordo bene come me l'abbia chiesto. E nemmeno voglio tirarvela tanto lunga. Siamo andati a fare colazione una mattina calda che io avevo i capelli corti e una canotta a righe arancioni.
Facciamo uno spettacolo insieme, mi dice, scrivi qualcosa di bello e poi io lo metto in scena.
Lo sospetto ancora, perché al teatro credo fino a un certo punto, ho sempre preferito il cinema. Lo stesso pomeriggio però sotto la doccia mi viene un'idea geniale: ho la storia, sicché accetto. Gli dico, va bene, basta che tu mi compri il vestito da mettere alla prima (Lorenzo, te lo ricordo).
Lui mi dice, ok.

E insomma, scrivo lo spettacolo che non ho nessuna intenzione di raccontarvi perché assolutamente dovete venire a vederlo.
Segnatevelo, sabato 18 gennaio ai Carichi Sospesi di Padova, un teatrino piccolo piccolo ma davvero all'avanguardia, esce Il ciclo di Ilaria Vajngerl e Lorenzo Maragoni.

Ecco solo a dirvelo mi prende l'agitazione.

A recitarlo sarà una sola attrice, Laura Serena. E' veramente bravissima e non lo dico perché recita quello che ho scritto, cioè, anche. Diplomata al Piccolo di Milano, è impegnata in diversi lavori, recentemente ha recitato in Sior Tita Paron, uno spettacolo dello Stabile del Veneto che rinfresca e vivifica la drammaturgia dialettale, che finalmente non è più un fardello noioso per leghisti nostalgici, ma una vivace messa in scena che coinvolge e diverte senza sapere di stantio.

Quando l'ho conosciuta mi è piaciuta subito. E ragazzi, si è formato un trio che concedetemelo, spacca i culi. Ci capiamo alla perfezione, siamo diventati degli ingranaggi di una macchina che cresce. Per me che scrivo è emozionante vedere un personaggio prendere vita, è come aver fatto nascere una persona.

Ovviamente sono anche terrorizzata, continuo a sognarmi che qualcosa vada storto, magari Laura si dimentica le parole oppure crolla il palco, ma Lorenzo mi ha detto che è normale, benvenuta nel mondo del teatro.

Ecco dunque, mi appresto a concludere.

Parenti, amici, conoscenti e amati lettori. Siete tutti invitati sabato 18 gennaio 2014 alle 21.30 a vedere Il ciclo. Io, Lorenzo Maragoni e Laura Serena vi aspetteremo ai Carichi Sospesi di Padova, per il primo nostro spettacolo, insieme. Prenotate il biglietto.

Noi intanto incrociamo le dita, che dio ce la mandi buona.


mercoledì 18 dicembre 2013

Big Bang

Il cielo oggi è elegante, un azzurro minimal senza sfumature, mette il buonumore e mi fa venire voglia di andare in vacanza.

In dicembre Padova era piena di nebbia. Arrivava la sera, quando uscivamo con le biciclette senza fanali, si pedalava guardando in basso per non entrare con le gomme dentro la rotaia del tram.
Abitavamo tutte sullo stesso piano. Era un collegio di suore, avevo dovuto mentire sulla mia religiosità portando mia madre a convincere la superiora.
La mia fede era durata il tempo del trasloco. Un pomeriggio, forse meno.

Le amiche di oggi sono le mie vecchie vicine di stanza. Io avevo la 214, in estate si arroventava e non riuscivo a studiare, cosi mi distendevo sul pavimento in bagno, sollevavo le gambe e mi facevo una doccia sdraiata.
Ci si trovava la sera a occupare il salotto, che aveva le porte di vetro sottile che vibravano quando arrivava qualcuno. Lara così aveva il tempo di rivestirsi, ci mostrava il seno quando non aveva niente da raccontare e tutte ridevamo perché allora ci importava soltanto di ridere, stando una vicina all'altra.

Due anni dopo c'eravamo trasferite in un appartamento lungo il fiume, sesso a random e vermi in frigorifero.
Certe mattine che mi svegliavo presto, guardavo l'alba dalla finestra in corridoio che accendeva le nuvole facendole diventare guance rosa.

Adesso ci ritroviamo catapultate lontano a percorrere traiettorie che mi ricordano le scie di fumo lasciate dagli aerei quando cerco un dio dentro il sereno.
Dove ci porteranno queste strade nuove che non possono essere percorse all'indietro?

La luna piena fa piovere i bambini, oggi Lucia è diventata madre.

Ci salutiamo da distanze crescenti, nel nostro universo chissà che non ci perdiamo.

lunedì 9 dicembre 2013

Una zia

Ogni 11 dicembre deve trovare una scusa.
E' il suo compleanno e deve partire.
Va dove gli astri sono perfettamente allineati, non m'intendo di stelle né di pianeti, lei sì. Calcola dove sia il punto sulla terra in cui la posizione di Marte e Giove sia la stessa del giorno della sua nascita, sessantanni fa, ormai. Solo così potrà continuare ad avere giorni fortunati.
Non so chi glielo abbia insegnato, se proprio proprio ho bisogno di fortuna io recito un padrenostro, che nel mio ateismo risulta più un'invocazione di comodo, se fossi dio mi tirerei un bello schiaffone o un calcio nel culo.
Lei invece ha deciso di viaggiare. E' stata a Dublino, in Spagna, a Mosca, a Roma.
Quest'anno le stelle le hanno promesso un po' di quiete, ha calcolato che potrà rimanere a casa, ciabatte e divano, forse qualche amica le porterà un regalo da scartare.

Suo nipote invece ha trent'anni, abita in Italia, quindi è disoccupato. Ha studiato architettura a Venezia, dice che non ha abbastanza soldi per aprirsi la partita iva, l'unica maniera per guadagnare qualcosa senza essere sfruttato. A lei piacerebbe vederlo sistemato, con una macchina lucida e una famiglia rumorosa.
Da brava zia ha deciso di fargli il calcolo astrale, per una volta fai quello che ti dico, mandare curricula serve fino a un certo punto, affidiamoci ai pianeti.

Honolulu, Hawaii, Oceano Pacifico.

Mai le è capitato di calcolare un posto così lontano. Per due notti si è chiesta se non fosse il caso di mentirgli, inventare un'altra meta, meno costosa, magari raggiunta dalla Ryanair o un'altra compagnia low cost. Tanto suo nipote mica lo verrebbe a sapere e come tutti i giovani si divertirebbe comunque.
Ma lei a queste cose crede davvero.
Se raccontasse una bugia a suo nipote probabilmente diventerebbe la causa della sua scalogna, questo non se lo perdonerebbe. Mai.

Con i suoi colleghi ha cercato il biglietto più economico, tremila euro, l'ha comprato. A patto che il nipote le restituisca la somma se subito dopo gli affari cominciassero a girare.

Quando lui ha saputo che il 6 gennaio sarebbe partito per Honolulu, ha preso in braccio sua zia e l'ha fatta girare. Forse una buona stella ce l'ho davvero e si è sentito pieno di speranza come quando da bambino gli cadeva un dente e aspettava il soldo del topolino, vicino alla scodella per la colazione.

Penso a com'era la vita quando credevo in qualcuno che non esiste: babbo natale, la madonna, gli ufo. Mi terrorizzava sapere che qualcosa che non potevo controllare potesse controllare me dall'alto e poi apparire all'improvviso.
Ho fatto di tutto per liberarmene: babbo natale l'ha ucciso la maestra, la madonna la cresima, gli ufo la televisione.
Solo che adesso quest'Italia scalcinata rischiarata dalle luminarie ti fa venire voglia di credere in un miracolo, in dicembre sembra tutto più possibile, e io di quei tre ho nostalgia. 

mercoledì 4 dicembre 2013

Grammatica finlandese


Sono a casa con l'influenza intestinale, la prima di una lunga serie, probabilmente, come mi capita quando arriva la brutta stagione. 
Oltre a lamentarmi e a contorcermi sopra il wc, ci sono tre cose cui mi dedico quando sono malata, la tv, la lettura e la scrittura quando possibile. Proprio oggi è uscito su Scrittori Precari un pezzo molto interessante, che ora vorrei segnalarvi. Ve lo ricordate Paolo Zardi? Tempo fa avevo scritto un post che potete rileggere qui, gli avevo lanciato una sfida, mi piacerebbe che scrivessi un racconto felice, ipoteticamente inseribile nella tua ultima raccolta e soprattutto che non parli di malattia, sesso e morte.

[Pausa wc]

Dicevo, Paolo, con molta galanteria, ha accettato la sfida. E ha scritto Grammatica finlandese. Mi piacerebbe lo leggeste anche voi. Penso che il vecchio Zardi abbia prodotto un racconto interessante, dateci un'occhiata. Scoprirete un autore meno morboso e a mio avviso più complesso e sottile del solito.
Ho scelto la parola complesso perché la felicità sottesa al pezzo è un'aspettativa futura, che si preannuncia nell'ultima scena. Si lascia intravedere e non siamo sicuri che ci sia davvero. Almeno, questa è la sensazione che io ho avuto.

Ecco.
Credo che il bello di avere un blog sia anche questo, poter condividere impressioni e creare una catena di contenuti  nuovi, che coinvolgano persone che all'inizio neanche si credeva si sarebbero potute conoscere, attraverso le quali si hanno e si avranno, nuovi stimoli.

Ebbbravi noi.


giovedì 28 novembre 2013

Scirocco

Lo vedi passare in bicicletta, con il gilet giallo fluo e le strisce catarifrangenti, anche se fuori è una mattina imbevuta di azzurro e quell'uomo grande con la testa pelata si vede arrivare lontano un miglio. Consegna le lettere per conto del comune, tutti lo conoscono, così lo salutiamo chiamandolo per nome, qualche volta dandogli una pacca sulla spalla come si fa coi bambini, solo che lui è alto almeno un metro e ottanta, i peli nelle orecchie stanno imbiancando.

Ha la lingua impastata, parla lentamente perché i suoi pensieri hanno bisogno di tempo per agganciarsi uno all'altro e creare un'immagine da dipingere con parole malconce.

E' simpatico.
Qualcuno lo chiama deficiente. 
Alcune ragazze abbassano la testa e camminano rasente ai muri per non incrociare lo sguardo e dover rispondere a complimenti non ricambiabili, dei quali non si potrebbero vantare nemmeno con sé stesse. Aderiscono ai palazzoni trasformandosi in fogli sottili, manifesti pubblicitari pieni di fretta e imbarazzo mal celato.

L'uomo sulla bicicletta quando mi vede scampanella allegro, mi ha chiesto l'autografo quando ancora cantavo nel coro. Fa il collezionista, gli piacciono le firme delle celebrità, ne possiede a migliaia. 
Non si sa mai che diventi famosa, fammi una firma, per favore.
Gliel'ho fatta ridendo, all'epoca cantavo polifonia e gregoriano facendo i concerti nelle chiese, sarei potuta diventare una superstar al massimo tra le suore di clausura o i frati cappuccini.

Custodisce l'anima della città fischiettando contro i problemi che galleggiano dentro le nuvole, li spazza via con leggerezza trasformandosi in scirocco. 

Pedala facendo crepitare le foglie secche, così le strade diventano vive.

lunedì 18 novembre 2013

Volevo fare la scrittrice e invece sono un'aspirante Gabibbo

A Giulia C. e a diversi altri sulla nostra stessa barca,
 con pirlitudine
Ok. 
Visto che anche la strada del dottorato non è momentaneamente percorribile, visto che l'ho cannato per un, dico UN, punto bisogna ingegnarsi in qualche modo. Tipo che ho cominciato a fare dei trip mentali assurdi riguardo le professioni non convenzionali su cui potrei investire. Perché ok il romanzo, i racconti, la gloria, ma insomma, devo pur guadagnare qualche soldo per i regali di natale. Così ho scritto il mio elenco di professioni alternative. Ovviamente la serial-killer e la narcotrafficante sono i mestieri che ho considerato per primi, ma sapete, troppi rischi, non ne vale la pena. Metti che poi ci prendo gusto, meglio non iniziare nemmeno, va. E quindi beccatevi il mio elenco.
  1. La scrittrice di notizie di merda. Non so se abbiate presente l'home page di Libero.it, sezione news. Io sì, ho la mail in Libero, la controllo ogni mattina, da anni. Ecco, mi sono sempre chiesta chi sia quel poveretto che si occupa di tenere costantemente aggiornata la pagina con pezzi del tipo "Dopo vent'anni giovane donna si accorge di essere senza vagina", puntualmente ripresi nei magnifici servizi di Studio Aperto. Visto che la sezione piace tanto agli italiani forse, invece che a un libro, dovrei  cominciare a dedicarmi alla stesura di articoli intelligenti, del tipo "Se dormi ti riposi".
  2. Il Gabibbo. Ormai da quanto esiste? Venticinque anni? Il mimo che lo anima sarà anche stufo. Presto o tardi dovrà andare in pensione, no? Ecco la mia candidatura! Ho le manone, sono abbastanza alta, mi piace travestirmi, non ho problemi con le telecamere. Dimenticavo: il rosso mi dona.
  3. La disperata ai funerali. Non hai amici? Vuoi un funerale drammatico, dove ci sia una donna carina a piangere la tua morte? Affittami. In questo caso però lavoro solo con pagamento anticipato, metti che muori. 
  4. La silenziatrice di bambini in libreria. O anche in biblioteca. Vi siete mai accorti? Siete concentrati a capire se vale la pena spendere 20 euro per un Einaudi appena uscito ed ecco. Entra una sirena di cinque anni che comincia a piangere, o a fare i capricci a diecimila decibel per comprare l'album di Peppa Pig. Eccheccazzo. Ho sempre pensato ci volesse qualcuno pagato per fare SHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH e una faccia da cattivo dei cartoni animati per riportare la situazione alla normalità.
  5. La cercatrice di forcine. Se siete donne vi sarò indispensabile. Avete mai pensato a come le forcine e gli elastici per capelli abbiano la capacità di sparire in giro per casa, nonostante si continui a comprarne a bizzeffe??? Da oggi potete comprare me! Ritroverò anche gli aghi nei pagliai, oltre alle clip degli orecchini!
  6. La divertita, nonostante le tue barzellette facciano cagare. Non riesci a far battute che vengano apprezzate dagli altri? Hai una cena di lavoro e vuoi fare il brillante dimostrandoti il più divertente di tutti? Pagami e riderò a comando. Non so se però, in questo caso, Berlusconi abbia già inventato l'albo per i suoi.
  7. La localizzatrice di calzini [che sono sempre nel solito cassetto]. Amoreeee, sai dove ho messo le mutande? E i calzettoni blu? Sai dov'è lo scolapasta? Propongo un servizio a domicilio per donne frustrate da mariti con memoria breve. Se l'attività dovesse andare in porto creerò pure una app gratuita chiamata "Sono dove li hai lasciati ieri". Tutti gli uomini la troveranno utilissima per il solo fatto che a dare consigli non sarà una donna, ma uno Smartphone.
  8. La donatrice di puzza. Pensavo di mettere in vendita il mio sudore raccolto dopo l'allenamento di pugilato in modo che la Dove possa brevettare un deodorante in grado di neutralizzare gli odori intorno alle discariche, che più o meno è lo stesso che aleggia intorno ai ring, dopo un incontro.
  9. La coniglia. Propongo a tutte le "donne in crisi" mie amiche di spogliarsi e fare un calendario, poi lo mandiamo alla redazione di Playboy. Se Hugh Hefner non ci vuole (ma ci vorrà) chiamiamo quelli di Libero.it che allerteranno a loro volta Barbara d'Urso: La crisi colpisce anche le conigliette, è dramma. Un appello ai politici italiani.
  10. L'ideatrice di lavori improbabili. Sei anche tu in cerca di un lavoro serio, ma non ti senti portato per neanche uno tra quelli che ho elencato? Vuoi una professione originale, ma sei a corto di idee? Mandami le tue caratteristiche, raccontami le tue passioni, al resto ci penso io! 
La fantasia salverà il mondo, o almeno il buon umore.

lunedì 11 novembre 2013

Magnolia

Questa notte soffiava un vento pieno di fiato, urlava qualche volta. L'ho ascoltato passare sotto il portico e far tremare lo scaccia spiriti, che suonava impazzito, pareva che ci fossero migliaia di campanacci attaccati al collo di vacche fantasma, pronte a caricare tutte insieme.

Mi sono addormentata tardi, in salotto, sul divano. Tutti i divani mi fanno dormire meglio perché mi abbracciano, mi fido di loro. 
Mio padre di pomeriggio aveva costruito una serra che riparasse le piante dal gelo, che tutti gli inverni ghiaccia il cielo, la terra e i visi sotto le sciarpe, rendendoli grigi.
Penso che non resisterà, quella serra fatta di nylon e spago, la spazzerà via il vento, come il pomeriggio di mio padre passato a montarla.

Mi sveglia mia madre che il sole non è ancora sorto, ci sono ancora le stelle che luccicano fra le nuvole polverose.
In mezzo al giardino sta distesa la magnolia, lo occupa quasi tutto tant'è grande. Il vento l'ha spaccata alla base, è crollata impotente. Sopra di lei ci giocavamo da bambine, mi arrampicavo in alto e poi saltavo sull'erba.
Vorrei poterla seppellire e farle un funerale, invece la faremo a pezzi, brucerà nella stufa.

La serra è ancora in piedi, il vento ha spogliato gli alberi, i cachi accendono il primo giorno di freddo.
La mia casa che invecchia fa tenerezza, come le persone che finiscono.

venerdì 8 novembre 2013

Dentro

Il salotto va pulito con l'aspirapolvere, ogni mattina, possibilmente. Intorno alla stufa cade la cenere, sotto le piante cadono le foglie. Lo sporco che si riforma mi ricorda che ogni giorno la vita ricomincia, anche se nell'ultimo mese mi sembra che il tempo sia intrappolato in una morsa e non mi permetta di cambiare come sarebbe giusto.

In cucina pranzi voraci di famiglia a dieta. Sono l'unica privilegiata che può mettere il burro nei tortellini fino a quando l'allenatore non viene a proibirmi alcool e carboidrati. La vita senza calorie è tristemente fredda.
A cena sono stanca perché cercare un lavoro è faticoso, figuriamoci non trovalo. I miei genitori sono stanchi perché hanno lavorato troppo.
Mia madre si lamenta delle relazioni e dei consigli di classe, io mi lamento perché il suo è il lavoro che dovrei avere.
Litighiamo, ogni tanto parliamo del tempo.

In camera dormo e scrivo.  Scrivo cose belle, le cose belle sono superflue, quindi sempre gratis. Sono stufa di pensare sempre al presente singolare, preferirei il futuro plurale. Non posso fare altro per il momento.

Esco perché dentro il cielo è sempre un soffitto.

Fuori il mondo continua a piacermi.



martedì 5 novembre 2013

Autocelebrazione

Oggi giornata di pubblicazioni! 
Potete leggere una mia breve inchiesta su Sei Magazine, l'inserto mensile che esce con Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi e L'Arena di Verona. Si parla di crisi e di giovani espatriati.
Su Soft Revolution è invece stato pubblicato un altro mio pezzo, un po'spavaldo, su pitt-bull, scarpe e aperitivi. Lo potete leggere qui e....a presto altre novità!

mercoledì 30 ottobre 2013

Una sfida

L'altro giorno ho finito di leggere un libro di un bravo scrittore. Sottolineo bravo per due ragioni. 
La prima, penso che Paolo Zardi sia bravo davvero, ha una certa onestà di stile che fa prendere un ritmo equilibrato alla scrittura, un'andatura tranquilla, che non promette niente e non dimentica niente, va dove deve andare e non è mica facile.
La seconda, per mettere le mani avanti: le considerazioni che verranno di seguito non vogliono attaccare il suo ultimo lavoro, piuttosto nascono da questo.

Il giorno che diventammo umani è una raccolta di racconti, le raccolte di racconti a mio avviso sono qualcosa di prezioso. La perfezione di una collana di perle deriva dalla perfezione di ogni singola gemma, così devono essere i racconti contenuti in una collezione. Devono essere perfettamente rotondi e allo stesso tempo ciascuno deve essere la ragione dell'altro.
Ecco.
La raccolta di Paolo parla di legami, perlopiù famigliari, fotografa la vita e tutta la sua malinconia.
Finché leggevo gli ho mandato un sms, i tuoi racconti hanno una sfumatura emo, gli ho scritto, lui mi ha chiesto emo in che senso. 
Paolo, ora te lo spiego.
Ricorrono continuamente una serie di fatti negativi- cancro, malattia, tradimento, sesso frustrato- che con l'insistenza con cui vengono proposti finiscono con lo sfiancare il lettore. Questo potrebbe essere stato il tuo intento, certo. Ma io chi esprime troppo spesso un sentimento ricorrendo alla sfiga e alle scopate lo sospetto parecchio. 
Argomento meglio.
Alcune tematiche, categorizzabili nelle grandi macroaree morte e sesso, attirano il lettore a prescindere dal modo in cui sono raccontate, perché purtroppo innescano una curiosità morbosa che fa proseguire la lettura non tanto per la qualità della scrittura, che passa totalmente in secondo piano, quanto piuttosto per sapere come va a finire, muore? si sono baciati? Tutto il resto scompare.
Quando ero adolescente, come la maggior parte degli adolescenti, credevo che per essere interessante dovessi essere anche problematica. Lo sono stata e ho sprecato del tempo. Una conquista dei vent'anni è stato capire che se hai talento puoi smettere di recitare una parte.

Ora. Attenzione, il rischio che ha corso Zardi e che ha evitato per un pelo grazie alla qualità del suo stile, è quello di essere noioso e stucchevole. Uno meno capace avrebbe probabilmente prodotto un surrogato di Cinquanta sfumature di grigio, magari pretendendo di passare per l'intellettuale dannato, arrivato sulla terra per mettere nero su bianco il dramma del nostro tempo.
Ok. La facilità del male la raccontano in tanti, perché in pochi si misurano con la reale complessità del quotidiano?

Quando ho terminato il libro ho scritto una mail a Zardi, lanciandogli una sfida. Vorrei che mi scrivessi un racconto breve, gli ho detto, che però:

-non contenga sesso, morte, malattia, bambini 
-sia felice senza essere banale
-sia ipoteticamente inseribile nella sua ultima raccolta 

Lui mi ha risposto ironico, con una citazione di P. Roth: niente sesso, niente morte, niente malattia e niente bambini. Di cosa devo parlare? Del panorama?

Se Roth non fosse il genio della scrittura che è (leggete il Teatro di Sabbath), probabilmente farebbe il direttore di Studio Aperto. 

Paolo ha accettato la sfida.

martedì 22 ottobre 2013

I vivi

Quando arrivava il giorno dei morti potevo tirar fuori dall'armadio il paletot da festa perché secondo mia madre solo allora era abbastanza autunno, prima potevo patire il freddo nella giacca da mezza stagione.
Caricava in macchina me e Serena, andavamo a dire una preghiera sulla tomba dei suoi genitori e poi su quella dei suoi nonni. Al cimitero guardavo i fiori degli altri per capire se erano più belli dei nostri.
Mia mamma sceglieva sempre i crisantemi bianchi e i ciclamini rosa, così la nostra tomba si adeguava alle altre senza distinguersi, l'ho sempre trovata una scelta noiosa. Io e mia sorella facevamo a gara per andare alla fontana e riempire di acqua una delle bottiglie di candeggina Ace impilate vicino all'entrata.
Si andava a pranzo dagli zii di mio padre. Mio padre ci aspettava lì, insieme a suo cugino, si trovavano la mattina presto per cucinare l'arrosto di uccelli e la polenta onta, chiamarla polenta fritta non rende abbastanza. C'era una tavola lunga, quella degli adulti e poi un tavolo sull'angolo, quello dei bambini. Il caminetto rimaneva acceso tutto il giorno. 
Gli adulti bevevano il vino, noi piccoli facevamo gara di rutti con la Coca-cola, non ci sentiva nessuno tanto c'era chiasso. Ci raccontavamo quanti dolci avevamo guadagnato la notte di Halloween, afferravamo con le dita la polenta con la crosticina dorata, mettevamo in bocca tutta la fetta per prenderne un'altra subito dopo, avendo paura che finisse troppo presto.
Il pomeriggio ci chiudevamo nella sala del biliardo. Ciascuno aveva la sua stecca per colpire le palle alla meno peggio. Io giocavo a biliardo perché mi piaceva mettere il gesso blu sulla punta dell'asta e sentire il rumore delle bocce quando entravano in buca, spesso le infilavamo con le mani.
Verso le cinque eravamo reclutati per sbucciare le caldarroste, che venivano tenute al caldo dentro una coperta di lana infeltrita. Le unghie si sporcavano di nero e così restavano per giorni. Presto iniziava la tombola. Ciascuno aveva la sua cartella e una manciata di fagioli secchi. Perdevamo sempre, così senza farci vedere strisciavamo nella stanza col pianoforte a coda e i tappeti persiani incollati alle pareti, ci venivano le labbra scure perché là il riscaldamento rimaneva spento. Giocavamo a nascondino ed era sempre mia madre a trovarci per metterci il cappotto e dirci che era venuta l'ora di tornare a casa-l'unico momento mortalmente triste di tutta la giornata.

Adesso che il cielo è un enorme nuvola grigia ho voglia di polenta, di paletot, e castagne. Andremo al cimitero e faremo un giro sempre più lungo, i morti ci aspettano come sempre, i vivi sono a ricordarsi, lontani.




giovedì 17 ottobre 2013

Le letterine

In viaggio verso Padova, treno. Temperatura interna 28 gradi, fuori è una bella giornata autunnale, lo sbalzo termico liquefà istantaneamente tutto quello che ho nello stomaco, per sicurezza mi siedo vicino al bagno.
Leggo, tanto per cambiare. Leggere in treno è una delle cose più rilassanti che ci sia. Fino a quando arrivano loro.

Due ragazze di ventidue anni, una coi capelli rasati sul lato destro, l'altra con gli occhiali da sole grandi come schermi di un televisore, non se li leva mai. Parlano a voce altissima, chiudo il libro e lo rimetto in borsa, tutto il treno si ferma ad ascoltarle.

-Eh, Giulia, mi sono iscritta a Storia del melodramma. Un vomito che non ti dico!
-Lo so, lo so. Fate Metastasio?
-No, no. Magari. Mozart. Fa cagare.
[dice cagare scandendolo bene, il bigliettaio si volta, io mi vergogno per loro. Una delle cose che voglio fare prima di morire è cantare il Requiem di Mozart, che adoro]

-Io invece ho deciso dove farò la specialistica, Bologna, dice l'altra. Non è che abbia visto la facoltà, sono stata in giro con un mio amico e abbiamo bevuto tantissimo, a Bologna si beve tantissimo, così cambio università. E poi faccio il Ditals e vado insegnare all'estero.
-L'ita? Fa la regina della notte. Che cazzo è l'ita?
-Bah, una cosa con cui insegni  l'italiano in tutto il mondo.
[illusa]
-L'unica cosa che spero, è che non mi mandino ad Addis Abeba. Oddio mi piacciono i negri perché sono messi bene e magari ci andrei, però non vorrei presentare il curriculum in Francia e poi ritrovarmi in Congo.
-Addis Abeba non è mica in India?
-No, risponde l'altra. E' la capitale del Congo.
[Etiopia, dio la madonna, Etiopia]
-E insomma, prenderò il Ditals e me ne andrò da questo paese di merda. All'estero col Ditals ti prendono ovunque.

Decido di intervenire. Guardate, sono laureata in lettere, ho il Cedils, che è la stessa cosa del Ditals, non funziona esattamente così...

Mi prendono in simpatia e alzano ancora di più il volume della voce.

-Che bello, mi dicono, e in cosa ti sei laureata? Io la tesi l'ho scritta in 28 giorni, ho scelto un prof che neanche l'ha letta, ci ho messo di più a prendere il treno per portarla in segreteria che a scriverla.

[Penso all'anno di ricerche piegata sui libri a martellarmi il cervello e non so chi delle due sia stata più cretina]

Poi l'altra mi guarda e mi chiede. 
-Non so se ti capita di pesare con chi di loro andresti a letto...
-In che senso, chiedo io, parli dei professori?
-Ma noooo, mi dice lei, degli scrittori! Io ad esempio mi farei Alfieri, dev'essere stato un porco assoluto, ci penso sempre quando lo studio. Un porco come me.
[ok, ho deciso chi è la più cretina]
E continua.
-Tipo che Leopardi non me lo farei mai, lo lascio alle seghe con Silvia. Ugo invece, avrà scritto anche i Sepolcri, ma era un avventuriero. Mi farei tutto il Kamasutra con Foscolo, poi probabilmente scapperebbe. Ma chissenefrega in fondo, no? Siamo giovani!
[Ugo Foscolo: 1778-1827, definiscimi il concetto di siamo e poi quello di giovani]
-Ti sei mai fatta un professore? mi chiedono. Dicono che gli assistenti abbiano un mazzo tanto.

Io credo che ieri diversi letterati si siano rivoltati nella tomba. Per un attimo le vedo fra vent'anni, a ricreazione, a guardare il sedere dei loro allievi. Ti sei mai scopata un alunno?
Mi chiedo perché la parola selezione in Italia faccia paura. Perché sia permessa solo nelle scienze. Penso a noi, futuri insegnanti di lettere, ammucchiati a prenderci a scazzottate per una cattedra, magari usciti tutti con il centodiecielode. Tanto le tesi si leggono solo se capita.
Se ci fossero i benedetti test di ammissione e più bocciature durante il percorso, forse adesso il ministro della pubblica istruzione non dovrebbe perdere tanto tempo a inventare clausole per non farci accedere ai concorsi pubblici, visto che siamo in troppi.

Quando ci salutiamo mi baciano e mi dicono,

-Ciao, aggiungici su facebook che così possiamo condividere le nostre vite di LETTERINE!

[Statene certe. Ciao ciao, good bye]




venerdì 4 ottobre 2013

Furore

Da un paio di mesi faccio parte nuovamente di quel 40% di giovani costretti a casa. E visto che non ho un'entrata fissa devo darmi una regolata con le spese. Anche con i libri. Comprare meno libri è un brutto segno, ma in Italia ultimamente i brutti segni sono dappertutto.

Il fatto che io compri meno non significa che io legga meno. Anzi. Riconsidero quei classici che per mancanza di tempo o per pigrizia avevo abbandonato sugli scaffali della mia libreria, lasciando che si prendessero la polvere visto che non pulisco troppo spesso.

Furore non l'avevo ancora letto perché i miei, soprattutto mio padre, insistevano troppo nel consigliarmelo. Lo rifiutavo per principio. Di Steinbeck avevo amato Uomini e topi, ormai sono passati quattordici anni da quando al ginnasio avevamo dovuto scrivere la recensione.

Furore è considerato un classico del Novecento, racconta la storia di una famiglia di agricoltori e del loro viaggio in cerca di fortuna verso e in California.
Quello dei Joan è un pellegrinaggio straziante e senza fine. Non posso fare a meno di scoprire l'attualità amara del racconto di Steinbeck. C'è il lavoro stagionale, che come gli stage o i contratti a tempo determinato, ti condanna a rimanere attaccato alla famiglia, unica possibilità per sopravvivere, per provare a rimettersi in piedi e continuare a cercare.

Sembra che la stessa crisi di allora sia tornata oggi, come la morte, con lo stesso volto.
C'è un passo del libro che mi sono segnata. Dice:

Non faccio altro che ascoltare. E poi medito su quel che sento. Ascolto i poveri parlare, e capisco quanto soffrono. Sai cosa mi sembrano? Rondini rinchiuse in qualche soffitta, che sbattono le ali invano, e picchiano la testa contro i vetri polverosi della finestra.

Ecco. Anch'io guardo le rondini schiantarsi e morire. Rompono il vetro e dietro c'è un muro.

Furore termina con un'immagine pietosa, piena di bellezza e di una miseria commovente. Non ve la anticipo.

Se mai vivremo abbastanza a lungo per essere stormo, ci poseremo insieme sui fili della luce a guardare il colore del futuro che ormai tutti abbiamo dimenticato.


domenica 29 settembre 2013

Cena con funghi

Il nostro gattino più che a un batuffolo somigliava a un condor senza piume. Gli mancava il pelo in svariati punti del corpo, pensavamo fossero segni di normali zuffe fra fratelli, era un gatto di fienile, cresciuto in una cucciolata numerosa senza alcuna premura.

L'avevamo adottato felici, lo si era chiamato Alex il Drugo, speriamo che le macchie spariscano in fretta, ci eravamo dette.

Solo che invece di sparire erano apparse a noi. Dappertutto. Eravamo andate dal veterinario, che ci aveva visitati, noi e il gatto. Diagnosi: questa è micosi, dovete curarvi subito, siete impestati.
Lara era stata colpita soprattutto al volto, l'abbronzatura era diventata simile alla pittura di una stanza abbandonata, si scrostava lasciando chiazze più chiare bordate di scuro.

Così c'eravamo comprate la pomata ed era arrivato dicembre. Avevamo deciso di cucinare la cena di natale per le amiche di università, una decina, le più strette. 
Tra chiacchiere, farina e fumo avevamo preparato le orecchiette fatte in casa, due vassoi belli colmi. Alle sette avevamo preso i bicchieri, impilato i piatti e cercato la tovaglia. La tovaglia che mai il nostro appartamento aveva posseduto.

E quindi. Riunione straordinaria fra coinquiline: non possiamo fare mangiare le altre senza la tovaglia, cosa cazzo facciamo?

C'eravamo guardate intorno. Il Drugo stava spaparanzato sul divano, beato e brutto, come solo lui poteva essere.

Ed eccola. 
All'improvviso mi era venuta l'idea del secolo: usiamo il copri divano del gatto. Come tovaglia sarebbe abbastanza grande, ed è a righe bianche e azzurre, rallegriamo la stanza. Cosa ne dite?
Paola ci aveva pensato su e aveva detto, sì dai, ok, ma visto che non possiamo lavarlo almeno sbattiamolo.

Su il divano universitario oltre alla micosi si era depositato molto, molto altro. Non aggiungo dettagli. Sappiate che finché scrivo, ora, sto ridendo imbarazzata, chiedendomi come abbiamo potuto.

Perché sì, davvero, l'abbiamo fatto. Abbiamo apparecchiato la tavola con la nostra tovaglia a righe e la nostra faccia tosta.
Sarà mica pericoloso, avevo chiesto a Paola, la micosi ti può venire agli organi interni?
Bo, mi aveva risposto Paola.

Era stata una cena deliziosa. Le orecchiette erano piaciute a tutte, nessuna si era accorta di niente.

Prima di svelare questo piccolo segreto ho chiesto il permesso alle mie ex coinquiline.
Alle altre amiche presenti a quella cena dico: sono contente che siate vive!

E un applauso agli anticorpi.


martedì 24 settembre 2013

Il fantasma

Vediamo un uomo sulla panchina.
Mi racconti che non ha nessuno. Si tiene la testa fra le mani e così rimane quando gli passiamo davanti.
Che cosa gli è successo? Ti chiedo.
Ha l'Alzheimer ed è senza famiglia, mi rispondi.
Non è mica vecchio, i capelli hanno ancora un colore.

Perdere le parole e poi i pensieri, ti fa capitare di nuovo sulla terra, senza astronave e senza alfabeto.
Diventi fantasma a poco a poco. 

Un mondo senza nomi è troppo complicato, così sbiadisci e poi più niente.

domenica 15 settembre 2013

Lo scoglio

Questo più che un post è una considerazione.

Come forse alcuni di voi sapranno da qualche mese Radio Eureka ha cominciato a funzionare. Avere una radio, anche se piccola e solo sul web, comporta un numero di scazzi infiniti e di varia natura, dal pagamento di migliaia di euro per la nostra amata Siae, alla raccolta differenziata in sala di registrazione.

Cerchiamo di superare i momenti bui e un po' a turno, siamo preda di crisi di identità che arginiamo solo perché crediamo nel nostro progetto, dato che di gloria e retribuzioni al momento non se ne parla.

Sabato sera siamo stati, in veste non ufficiale, all'inaugurazione di un locale a Valdagno. I musicisti, molto bravi fra l'altro, sono amici di Marco. Così ci siamo fermati, c'era l'happy hour e col loro bicchiere tra le dita i ragazzi parevano davvero i clienti più felici del mondo. 
Quando l'alcol finisce si cambia bar.

Credo che il vero scoglio che Radio Eureka debba cominciar a considerare sia el gotto.
Il bicchiere.
Non ci si muove, o lo si fa solo da una certa età in su, se non c'è almeno la promessa di uno spritz gratis.

Cosa c'entra questo con la radio?

Dunque.
Se la nostra pagina Fb conta quasi 700 iscritti solo un settimo forse, poco più, ascolta i podcast sul sito.
Tutti chiedono l'amicizia a Radio Eureka, lo faccio anche io, si clicca un po' a caso, tanto è fb, chiessenefrega.
Va be', pazienza è solo questione di social, il rovescio della medaglia di una pubblicità fatta online.

Quando abbiamo chiesto ai nostri ascoltatori di scriverci qualche spunto o suggerimento per una pagina di notizie da inserire nel sito NESSUNO ha segnato qualcosa, neanche figa, tette o culo. NIENTE. No ideas. 

Magari è la radio che non attira, per carità.

A mio parere, estremizzo volontariamente la cosa, questo però è sintomo di un qualunquismo di paese diffuso nelle nostre zone: ci si lamenta che nei dintorni non c'è nulla da fare, e quando c'è si preferisce stare nel solito locale a bere prosecchi. Massa fadiga. Se proprio si è in vena di cambi drastici si ordina un amaro.

Quando a Valdagno è venuto Vergassola sono arrivata un'ora prima, pensando di non trovare i biglietti. Invece c'erano quattro gatti, mi sono seduta in terza fila, io mi sono goduta lo spettacolo e l'amministrazione comunale ha fatto una figura di merda.

Ora vengo al punto e mi appresto a concludere, che a far la pesante rompo solo i coglioni.
Mi chiedo.
Come riuscire a dare una alternativa valida al gotto, sapendo che il bicchiere, al momento, è l'unica esca per fare uscire la gente di casa?
In che modo far diventare il bicchiere un mezzo e non il fine ultimo di un sabato sera diverso?
E soprattutto, la gente vuole veramente qualcosa diverso di cui occuparsi? Perché a lamentarsi, come vedete, tutti sono bravi, anche io in questo post, ma cosa siamo in grado di offrire noi di Radio Eureka per far sì che le abitudini cambino?

Nuova stagione, nuova sfida.
Buon autunno.

sabato 7 settembre 2013

Dobrodošli nazaj

Arriviamo al cimitero a metà pomeriggio. I cani. Il paese non ha i cancelli, ogni casa è guardata da un pastore tedesco che controlla la strada, l'unica, che perfora il centro e attraversa il bosco.
I camion la percorrono uno dietro l'altro, fanno rotolare le ruote sempre più veloci, quasi non restasse più tempo da vivere e ogni minuto perso fosse seppellito per sempre. Mi chiedo come facciano a non sbandare.

Arriviamo al cimitero sulla sommità di una collina verde, sull'entrata c'è scritto Koncana pot je tvoja tu kraj miru je in pokoja, io non so cosa voglia dire, così faccio una foto. Cerchiamo una tomba senza sapere bene dove trovarla, le lapidi sono più dei tetti che da qui riusciamo a contare uno ad uno guardandoli dall'alto.

Camminiamo con lentezza, sperando di aver scelto il sentiero giusto.

E poi capita che io legga il mio cognome su una tomba di marmo col ventre spaccato, una crepa la percorre e l'afferra, quasi la terra volesse ingoiare anche la pietra perché i corpi non l'hanno saziata abbastanza. Mi avvicino a guardare meglio, la pelle è percorsa da un brivido che raddrizza tutti i peli e fa correre il cuore.

I miei bisnonni sono nati uno dopo l'altra e allo stesso modo sono morti. Dopo la seconda guerra mondiale mio nonno non era più tornato. Di lui ci rimangono cartoline senza grammatica e pochi ricordi che mio padre lascia volentieri morire nei pensieri.

Ho preso un sasso che ho portato da casa e l'ho posato sotto i loro nomi, i fiori non sarebbero durati abbastanza. 

Koncana pot je tvoja tu kraj miru je in pokoja, ho cercato la traduzione su google è la fine del percorso questo è luogo di pace e di riposo.

Lasciamo il cimitero. Al mio cuore sono cresciute le radici, fiorisce ogni volta che ti dico come mi chiamo.







lunedì 26 agosto 2013

Gli inseparabili

Da bambina giocava con le Barbie e le faceva sposare tutte con lo stesso Ken, ne aveva solo uno che doveva essere abbastanza democratico per amarle tutte, anche quelle coi capelli aggrovigliati in una caramella o senza un braccio. Si chiamavano amore e vivevano felici nel cassetto dei giochi.

Da ragazzino guardava le donne e le voleva tutte, gli parevano fiori da raccogliere, gli piaceva annusare la pelle e assaggiare le lingue, cosi era cresciuto con un mazzo di fiori in mano e nessuno al suo fianco.
Quando si sono incontrati hanno deciso che potevano essere una coppia compatibile, si sono fidanzati senza che il cuore rimbombasse nello stomaco, ci basta stare insieme per stare bene.

Mia sorella dice sempre che col tempo ci si affeziona anche al proprio canarino, figurarsi a una persona che ti accarezza la schiena prima di dormire.

Lui racconta di una donna passata col sorriso addosso. E mi chiedo perché gli piaccia giocare agli inseparabili, visto che ciascuno ha l'amore che sceglie.
Ha costruito una gabbia che lo fa sentire a casa, la abita con nostalgia.

lunedì 19 agosto 2013

Pausa pomeridiana

Fuori cade la neve, in ufficio il riscaldamento crea un microclima tropicale, la mattina ci tocca ingessare le ascelle col deodorante per non far puzzare i maglioni, che a fine giornata devono comunque fare un giro in lavatrice. Ciascuno ha il suo Mac sfacciatamente elegante, si battono i tasti con una certa goduria.

Io gli zingari li ucciderei tutti, anche molti extracomunitari. Ammazzerei gli stupratori, i pedofili e quelli che maltrattano i cani, ma anche gli animali in genere. Perché a me quella gente lì fa schifo.
Sono quasi le quattro e il capo attacca con la solita invettiva pomeridiana, che io mi rifiuto di prendere sul serio.

Ma va là, rispondo, cosa vuoi uccidere gli stranieri. I pedofili bisognerebbe evirarli, ma abbiamo la legge, per fortuna.

Il mio capo beve il caffè continuando a lavorare. Mi dice, cosa vuoi che faccia giustizia lo Stato, la legge non è mica uguale per tutti, in Italia sai quanto tempo passa prima che li sbattano in galera?!? Io, ad esempio, a casa ho tutte le mie pistole, se qualcuno mi fa incazzare, non ho nessun problema a sparargli. 

Mi sento a disagio, all'improvviso. Mi si gelano i piedi, il sangue e la lingua. E comincio a trovare più attraente l'idea di essere una lavoratrice instancabile e accondiscendente. Sempre.
Cado in un mutismo di convenienza. Il mio capo continua, cosa credi, anche quelli dell'ufficio di là hanno le pistole, è una cosa normale, ormai ce le hanno tutti. Vero? e chiama quelli nell'altra stanza che confermano con disinvoltura.

L'unica volta che ho fantasticato sul fatto di avere un bazuka è stato quando a un festival sperduto sono dovuta passare vicino a un gruppo di punkabbestie che avano slegato tutti i loro pitbull, i quali scorazzavano in branco, un tantino eccitati, saranno stati una decina. 

Per fortuna arriva il commerciale.
Antonio sa parlare solo di due argomenti: sesso o malattie. Invecchiando è diminuito il primo e sono aumentate le seconde, lui è diventato un ipocondriaco convinto.
Gli chiedo come stai  per smettere di pensare alle pistole e lui subito attacca:

Sto male, cosa vuoi, sono vecchio. Ho mal di schiena, per fortuna che ho il mio amico che mi fa tutte le lastre che voglio, così gli ho detto, fammi la lastra e se riesci prendimi un appuntamento per fare una tac, magari coi raggi non si vede bene se ho una metastasi. Vuoi farti una tac? Non farti problemi che trovo un posto anche per te. Tra l'altro, ho scaricato una nuova applicazione per l' i-Phone, così tengo monitorata la mia pressione e faccio le statistiche. Vuoi sapere la massima di ieri? Ho la pressione alta, Ilaria, son vecchio, ormai il ciccio non mi tira neanche più. Però se un giorno ti stanchi del tuo fidanzato chiamami e dimmi cià cià cià che corro a prenderti con la carrozza. Ma senti, sbaglio o per il ciclo prendi il Toradol in gocce? Perché il mio medico l'ultima volta non me l'ha mica prescritto, se mi vendi il tuo lo compro, quanto vuoi? 
Lo so, me lo dice anche il mio dottore che dovrei parlare con uno psicologo di questa cose delle malattie, ma Ilaria, te lo assicuro, la differenza tra me e un ipocondriaco è che io sto male davvero.

Fa la faccia da bambino, con gli occhi lucidi.

E allora sta attendo, gli dico, perché gira una malattia che si contrae mettendo il gel sui capelli, prima ti viene il prurito, poi ti riempi di bolle: ti gratti talmente tanto che ti scortichi il cuoio capelluto.
Lui mi guarda e mi chiede, veramente? Faccio un viso serissimo e gli rispondo certo, anche se mi sono inventata tutto e vorrei scoppiare a ridergli in faccia. 
In caso ho del cortisone, mi risponde.

Antonio, adesso esci che stiamo lavorando, gli intima il capo.

Lui va verso la porta, mi fa l'occhiolino e mi urla, ricordati la parola magica: cià cià cià!

Il mio capo mi guarda, Ilaria se ti dà fastidio fammelo sapere che in caso ci penso io. Mi si gela il sangue di nuovo, immagino il povero Antonio trapassato da diecimila di proiettili.
Non fa niente, sorrido.
Intanto Antonio chiude la porta con una mano, con l'altra si gratta la testa come un disperato.

martedì 13 agosto 2013

19

Ci immergiamo nel buio, le orecchie si turano per tutte le voci dei grilli che ieri sera sono esplose in un frastuono scanzonato- un concerto fra amici sbronzi che cantano per il gusto di cantare, senza il peso della giusta intonazione.

Siamo distese vicine, ci siamo coperte con gli asciugamani da spiaggia e speriamo che non arrivi un serial killer perché siamo in cima al mondo e non ci troverebbe davvero nessuno. Maledetta mia sorella che giusto a pranzo mi ha raccontato le trasmissioni macabre che guarda in streaming, così ogni scoiattolo tra i rami mi fa venire in mente Charles Manson, meglio non pensarci.

Il cielo è gonfio di stelle, sono talmente tante che ci cominciano a piovere dentro gli occhi, urliamo ogni volta che ne vediamo una cadere e lasciare una scia brillante. Ecco ho pure la pelle d'oca, senti qua, e quando mi tocca la gamba scoppiamo a ridere e poi nessuna parla più. 
Desiderio.
Chiacchieriamo di vestiti in saldo e di ragioni del mondo, ogni cosa vista da qui ha la giusta dimensione e anche il suo passato triste comincia a farle meno male, lasciando spazio a vita nuova.

A mezzanotte ho contato diciannove stelle cadenti. Non avevo abbastanza desideri così ho proceduto per categorie, visto che il cielo è magnanimo solo una volta l'anno meglio ottimizzare le richieste: prima i desideri importanti, poi quelli materialisti, a seguire i desideri per i miei amici e alla fine quelli per la popolazione italiana.

La nostra notte perfetta galleggia senza tempo sopra il mondo, i dispiaceri affondano, se mi guardi sono serena come questa notte.



mercoledì 7 agosto 2013

Bucolico ma non troppo

Ho macchiato irrimediabilmente il fornello di mio padre, perché per pulirlo ho usato il Cillit Bang per il bagno e non è stata una buona idea.
In camera incastriamo due materassi per costruire un matrimoniale, passano i giorni e ci seppelliamo sotto i vestiti sporchi. Il lenzuolo sempre più attorcigliato cerca di tener ferme le gambe che la notte continuano a muoversi per il troppo caldo. La mattina ci troviamo prigionieri, mi divincolo e ti salgo sulla schiena, per farti da trapunta e darti il mio buongiorno spavaldo. Ho perso gli occhiali da vista, spero di non calpestarli e di trovarli prima o poi, per una settimana posso rimanere ignorante.
Intanto agosto ci ammolla la vita, preferiamo i ghiaccioli al limone, l'amaca e i piedi scalzi. Mi obblighi a lavarli più del necessario, hai trascorso poche giornate selvatiche e mi dispiace che tu sia allergico alla campagna e le braccia ti si ricoprano di bolle, prendi l'antistaminico, ti chiedo.
Tu non lo prendi neanche morto, se ci sposeremo non abiterò mai in questa casa, mi rispondi. Io ti vorrei sposare un po' meno, ti pizzico l'interno coscia sperando di farti male e ben ti sta.
La domenica si sale in montagna, festeggiamo il diploma di mia sorella al fresco, che poi tanto fresco non era visto che quando siamo tornati a valle avevamo la maglietta tatuata addosso, come i muratori. In baita non c'è il bagno, ma un ovile con cento capre. Scopro che le capre hanno le pupille rettangolari. Giochiamo a rugby in un campo pieno di ortiche, non riesco a far girare bene il pallone e mi pungo dappertutto. 
La sera guardiamo su You Tube i dementi che piangono la condanna di un'ex presidente e per addormentarmi penso alla giustizia, troppo precaria in questi giorni, anche lei avrebbe bisogno di un contratto a tempo indeterminato. Mi viene in mente mia madre quando io e Serena eravamo bambine e si doveva spartire un dolce che entrambe volevamo mangiare.
Mia madre ci dava un coltello, una divide, l'altra sceglie. La odiavo. In questo modo chi faceva le parti doveva essere equa il più possibile in modo da trarre il massimo beneficio. La giustizia ci era necessaria, dovrebbe essere così per tutti, credo.
Ogni sera innaffio il giardino, l'aneto è pieno di coccinelle e quasi quasi mi piacciono gli insetti. Ci beviamo una birra in compagnia, hai sentito della nuvola di locuste? Non ne sapevo niente, accendo la televisione, lo dicono anche al tg regionale. Sono arrivate a Vicenza.
Riconsidero la tua proposta di vita in mezzo all'asfalto che improvvisamente mi pare romanticamente sicura, vado a prendere le ciabatte, chiudo le porte, abbasso le zanzariere e per un po' torno a fare la civile.

lunedì 29 luglio 2013

L'età del gambero

Dawa in swahili significa magia, star bene. In Italia la Dawa è l'associazione fondata da Cecile Kyenge, che promuove campagne di sensibilizzazione e integrazione fra il nostro Paese e l'Africa.
Non so se lo sappiate già, ma la Kyenge, prima di diventare ministro era medico, è specializzata in pediatria e oculistica.
Quando mi sono laureata ho scritto una tesi sugli eufemismi e tra gli altri ho dovuto studiare quelli legati al colore della pelle, un ambito delicato, soprattutto quando è da verificare sul campo, andando a parlare con la gente. Mi ricordo, c'era una domanda che chiedeva quanto si ritenesse normale la presenza di una persona di colore a svolgere una determinata professione. Solo i più giovani accettavano un nero come sindaco, era perfettamente normale che un "negro" potesse fare l'operaio, le pulizie, fosse prete o dottore. Professioni utili o sicure, socialmente accettabili perché prive di potere.
Gli italiani quest'anno hanno avuto, in piccolo, la loro Obama e hanno dimostrato al mondo, facendo un'ennesima figura di merda, di non esserne all'altezza, un Obama noi non ce lo meritiamo.
Calderoli la chiama orango, alcuni illuminati ad un raduno del Pd le tirano le banane, a Cesena i militanti di Forza Nuova inneggiano al No Ius Soli dipingendo di rosso tre manichini bianchi, l'immigrazione uccide, scrivono.
Ecco.
Io di loro mi vergogno.
Se andate su Fb e digitate Cecile Kyenge compaiono per primi i gruppi web omofobi come "Signora ministra C.K. fuori dalle palle" oppure "C.K. fuori dal cazzo" e così via. Ciliegina sulla torta la consigliera Padovana Valandro, che augura alla Kyenge che qualcuno la stupri, un magistrale esempio di  pericolosissimo dare aria alla bocca.

L'educazione civica nel 1958 è stata introdotta nelle scuole per volere di Aldo Moro. Nel 1996 è stata abolita, inglobata nelle lezioni di storia e di geografia. Risultato, sempre più cittadini hanno meno strumenti per capire la politica, sapere che la morale è necessaria e a volte può salvare dalla catastrofe. Che la modalità d'espressione di un'idea, perché ciascuno ha le proprie e così è giusto, determina la civiltà di un paese. La nostra mi pare l'Età del Gambero, torniamo indietro a momenti grigi, che non dovremmo più voler intorno.

Quando sarò ministro della pubblica istruzione, tra le infinite cose che dovrò sistemare, ce ne saranno due che avranno la priorità: reintrodurre l'educazione civica obbligatoria e inserire l'ora di imparare il silenzio.
I social media stanno abituando le nuove generazioni all'iper comunicazione, un opinione, un pensiero diventano uno status solo per il fatto di possedere un mezzo che li pubblichi.
Ecco. Cazzate.
Nell'ora di silenzio i professori dovranno insegnare l'arte di tacere. Si studieranno i concetti di intimo e di privato applicati alla vita quotidiana. Il talento è di pochi, si deve imparare a esser persone qualunque senza smania di continua autocelebrazione e non è mica facile a quanto pare.
Quando si è limitati è meglio mangiarsi una banana e starsene zitti piuttosto che tirarla addosso a qualcuno e rimanere stupidi con la pancia vuota, oltre al cervello.

lunedì 22 luglio 2013

La buca

Cade a terra un barattolo di perline ed esplodono nella stanza vivaci, devo essere sicura che nessuna si perda, conoscere traiettorie disordinate per frenare collisioni improvvise, inevitabili il più delle volte.
I bambini schizzano ovunque sotto il sole veneto che d'estate sembra pioverti addosso e ti incolla i vestiti facendoli puzzare troppo presto.
Sono quasi un centinaio.
Giocano a calpestare le api, muoiono tutte, qualcuna da eroe, su un piedino sventurato che la mattina ha scelto un sandalo invece di una scarpa con gli strappi. Un urlo squarcia il bel tempo, che improvvisamente si fa pieno di lacrime e di mamme lontane, il dramma più incomprensibile per uno che nella vita è semplicemente un figlio e un genitore è ancora la cosa più bella.
La testa mi fa prurito, pensavo fosse il sudore e invece potrebbero essere pidocchi, chi te lo fa fare, mi chiedi.
Tolgo il pungiglione con la pinzetta e sopra ci verso il disinfettante.
Adesso smette di bruciare, guardo il bambino tremare, con gli occhi gonfi di spavento, ti disegno la stella del coraggio e guarisci subito. La disegno con una bic nera, comprata in edicola per cinquanta centesimi. Nell'inchiostro c'è la polverina magica e sapete, funziona davvero. Comincio a raccontare di averla rubata alle fate, che la notte dormono sotto lo scivolo, ce ne hanno tanta sulle ali per poter volare, come le farfalle.
Tutti i bambini che ascoltano mi allungano il braccio per avere una stellina, poi la confrontano per stabilire quale sia la più potente. In ogni caso decidono di procurarsene dell'altra. Uccidono tutte le cavolaie che passano in giardino, per sicurezza anche qualche ragno.
Torno a casa coi vestiti incrostati di tempera e fango.

Lo sai, c'è una buca vicino alla recinzione, la scavano ogni giorno quattro bambini, sempre gli stessi, come se dovessero timbrare il cartellino.
Cosa state facendo? Mi inginocchio per guardare meglio, loro mi buttano una paletta e mi dicono aiutaci.
Scaviamo perché prima o poi troveremo l'acqua, poi i sassi, poi i dinosauri e dall'altra parte usciamo in Inghilterra, mi spiegano.

Ecco, mi hai chiesto chi me lo faccia fare. Quando mi immagino di poter arrivare a Londra scavando un buco, il mondo mi sembra ancora nuovo e ogni possibilità diventa percorribile.

lunedì 15 luglio 2013

28+2=30 (e lode)

Come ogni 14 luglio ieri si è aggiunto un anno a quelli che già mi porto addosso- un paio di chili in più, il primo capello bianco, le ginocchia che cominciano a fare male quando indosso le scarpe sbagliate. 
Anche il Pesce Volante domani compie gli anni, e sono due. Questo è stato un anno sbilenco, pieno di bellezza. Quella del lavoro, quando pensi di averlo trovato e invece fa schifo e poi per fortuna finisce. Degli amici, che quando non te l'aspetti ne arrivano di nuovi e scopri che ti ci puoi trovare bene. Quella di Marco, che se non ci fosse dovrebbero inventarlo. Quella della mia famiglia, che se sono sono uno spino ci sarà un perché.

Per festeggiare ecco allora un mio racconto pubblicato oggi dallo scrittore Paolo Zardi sul suo sito Grafemi.

Alla scrittura e a tutto il mondo che posso raccontare io dico grazie.

domenica 7 luglio 2013

La muta

Verso sera, quando il sole sta per svenire dietro le montagne, salgo in macchina e abbasso i finestrini. Sopra i campi le rondini vanno a pesca di moscerini, rasentano l'erba tracciando cerchi concentrici.
Ho i capelli bagnati, si asciugheranno nel tragitto, guido con le gambe larghe per non farle appiccicare al sedile. 
In tre giorni ho cambiato colleghi, i fogli si sono trasformati in bambini, gli orari diversi mi mostrano parti di giorno che vedevo solo da una finestra oscurata della zona industriale.
Canto a squarciagola le canzoni di Maria Antonietta che ho imparato in ufficio, progettando campagne pubblicitarie che sono durate come la vita delle falene, un giorno solo e poi basta, si deve far nascere quelle nuove.
Mi sono ricresciuti i capelli, toccano le spalle. Il futuro va riprogrammato, ancora una volta. Oggi mi chiamano maestra, domani starò preparando il dottorato, forse.
Accelero ad ogni rettilineo perché luglio di sera è il mese più bello, sempre. Cerco di pensare il meno possibile.

Quanta pelle può perdere il serpente prima di cominciare a consumarsi?

domenica 30 giugno 2013

Un sospetto

Gli dico che ci hanno chiesto di andare a cena e mangiarci una coppa gigante di gelato, visto che fa caldo, visto che non abbiamo niente da fare e che sarebbe proprio una bella idea, ne avrei davvero voglia e Matteo e l'Isabella li vedo volentieri. Allora andiamo?

Sono le due. Marco gioca con le palline magnetiche di mio padre, mi dice mh, mh, va bene, rispondi tu e dì di sì. Poi si reimmerge nella costruzione di un cubo, l'encefalogramma disegnerebbe probabilmente una sequenza di mattoncini rossi, blu e gialli.

Per San Valentino gli ho regalato il motoscafo della Lego Technic. L'ha voluto montare subito, tu fai la cerca-pezzi, mi ha ordinato. Se vuoi che un uomo spenga il cervello punta sulle costruzioni, Meccano, Lego, va bene tutto.

Arrivano le sette. Stiamo per uscire. Prende le chiavi e mi chiede, ma dopo il gelato dove andiamo a cena?
Ceniamo con la coppa di gelato, te l'ho detto prima.
Gli si dipinge in faccia un'espressione di terrore, quella che fa  tutte le volte quando c'è di mezzo il cibo e qualcosa non gli va bene. E se non mangio abbastanza?
Prenditi la coppa più grande, gli rispondo.
Lui mi guarda con gli occhi lucidi, si siede sul letto. Sei proprio sicura di voler cenare col gelato? mi domanda.
Sì, lo sono.
Perché io non sono sicuro di averti detto di sì. Anzi, non mi ricordo proprio di avere sentito questa cosa. 
E aggiunge. 
Se mi vedi giocare con le palline devi sapere che non ti ascolto. Dovevi chiedermelo di nuovo quando avevo finito. E' colpa tua.

Mi metto le mani in tasca per non strangolarlo. Gli dico, mangio quello che vuoi. Ma adesso prendi il telefono e glielo spieghi tu a Matteo e la Lella.
Ci prova anche con loro, ma siete proprio sicuri di voler cenare con un gelato? Loro rispondono di sì, gli va buca.

Usciamo e lui fa un muso lungo che arriva fino in Sudafrica. Smette di parlare e rimane con la testa bassa. Lo prenderei a calci. Mi scuso con gli altri, lui si arrabbia ancora di più perché mi sono scusata per lui.

A metà serata un'ottantenne scappa dai figli e viene al nostro tavolo, mi posa la mano sulla spalla e ci dice che dobbiamo volerci bene, perché diventeremo vecchi e poi ci mancherà. Ci racconta della sua giovinezza, poi si dimentica di avercelo raccontato e inizia da capo. Rimane con noi per una buona mezz'ora, ascoltiamo la stessa storia almeno cinque volte.

L'altra sera siamo andati al ristorante. Marco era incerto tra la tagliata e il rombo. Io ho preso il rombo e lui si è lanciato di gusto, ma sì, dai che prendo rombo anch'io! Quando ci hanno portato i piatti e ha capito che il rombo era un pesce, si è spento all'improvviso.
Pensavo che rombo fosse un taglio di carne, mi ha detto. Se faccio quello che fai tu sbaglio sempre, dovevo immaginarlo che c'era un tranello.

Io credo che da vecchia avrò nostalgia della giovinezza, ma ho il fondato sospetto che certe caratteristiche del mio consorte dureranno nel tempo e se adesso è così figuriamoci quando si rimbambisce davvero.


lunedì 24 giugno 2013

A jerk

-Per piacere, scrivimi un redazionale sul centro Carducci asap.
Lo guarda e gli dice va bene con aria titubante. Non chiede niente, ai superiori si devono chiedere meno spiegazioni possibili.
Accende il computer, aspetta che il capo se ne vada. Quando è andato fuori, si volta e mi domanda con aria smarrita.
-Cosa intende esattamente con "redazionale asap"?
-As soon as possible. Asap. Devi scriverlo subito.
Mi ringrazia, ah, mi dice, non lo sapevo. Ha gli occhi fuori dalle orbite.

Abbiamo un capo che ci paga 500 euro, ci fa lavorare dieci ore al giorno e parla per acronimi o anglicismi, come stesse scrivendo una mail. Facciamo un break, Tieni questo, fyi.*

Vorrei sentire come parla l'inglese, visto che lo ama tanto.
Mi piacerebbe poterlo assumere, lo farei stare alla scrivania, inginocchiato sui chicchi di granoturco, lui e il vocabolario di italiano, a impararlo dalla a alla z, per 3 euro l'ora, tutti i giorni dalle otto fino a prima di cena.

Se parli siglato non sei figo e neanche misterioso. Credo che coglione sia la parola migliore. In inglese dovrebbe essere jerk, visto che l'italiano ti è tanto oscuro.



 *For your information

martedì 11 giugno 2013

Il giardino

E' diventato vecchio portando a passeggio il cane, sempre la stessa strada da non so quanto tempo. Li vedo arrivare verso sera, camminando piano sbiadiscono sempre di più.
Il campo è imbiondito, lo suonano i grilli anche di giorno.

Un sabato notte- c'era una rana in mezzo alla strada, ho parcheggiato la macchina e l'ho raccolta per guardarla bene, era fredda come i sassi lungo il fiume, dalla schiena usciva la schiuma. L'ho portata nello stagno che mio padre ha costruito in mezzo al prato.
E questo mese lo stagno si è riempito di girini, ogni giorno finito il lavoro andiamo a guardare se hanno messo le zampe.

La pausa pranzo ha il rumore di foglie e d'ali sbattute, col bel tempo mi metto in costume e aspetto che il sole mi scurisca l'ombelico. Il rosmarino è diventato un albero e mi ripara la testa dal cattivo umore.

Dentro il giardino abbiamo seppellito i miei cani e tutti i gatti che hanno attraversato la strada al momento sbagliato, so indicare il punto esatto anche se sopra c'è cresciuto un pesco.
Come fanno a rinascere gli animali d'appartamento se quando muoiono non sai più dove andarli a trovare?

Il vecchio anche oggi è passato alla stessa ora, è entrato nel campo, poi è scomparso.

Quando la primavera sta per trasformarsi in estate i miei animali fioriscono e sono dappertutto.

venerdì 7 giugno 2013

Un bollettino radiologico.

Ci vogliono un sacco di riunioni per fare una radio. Le nostre dovrebbero durare un paio d'ore e invece finiamo col saltare il pranzo del sabato o sostituiamo la cena con tre birre a stomaco vuoto che mi riempiono di stupidità o di mal di testa.

Manca poco più di un mese e si comincia a trasmettere, il gioco si sta facendo sempre più duro, bisogna pestare più forte.
In questi mesi abbiamo scritto i programmi, preparato le magliette, messo on line la landing page, montato il video di lancio e attivato la pagina fb.
In redazione cominciamo a conoscerci meglio, pian piano ci stiamo trasformando in una famiglia dove ciascuno ha il proprio ruolo, a me hanno dato quello della signorina Rottermaier.

Chissà perché.

Prendiamo lezioni di dizione e di speakerato, verde ha la e chiusa, bene è aperto.

Da Londra mi chiama Valentina. E' una ragazza napoletana spigliata, quando pronuncia un anglicismo lo fa in maniera impeccabile, vive in Inghilterra. Mi piace. Si è candidata per farci da corrispondente estera, l'idea è brillante, mi ha contattato leggendo questo blog, è stata intraprendente. La vogliamo tantissimo.

Abbiamo trovato una sede, ci ingegniamo per riempirla.

Per il resto.
L'aria si è intiepidita, il tempo è variabile, una radio che cresce bene fa venire il buon umore.

Ecco la pagina fb: Radio Eureka

martedì 28 maggio 2013

Mio padre

Sono bambina. Siamo in giardino.
Io e mia sorella facciamo il gioco della fiducia e mio padre vuole giocare.
Girati che ti prendo, mi dice.
Apro le braccia, lui si posiziona alle mie spalle, tende le braccia.
Buttati, esclama.

Mi lascio cadere all'indietro, lui mi lascia cadere all'indietro. Vado lunga distesa, per fortuna che stavamo sul prato. 
Mi raccoglie ridendo, così impari a fidarti troppo, cucca.


Mio padre fa il medico e ha un manichino perfettamente uguale ad un uomo vero, è vestito con una tuta grigia da meccanico, lo adopera per le lezioni di primo soccorso o per spaventarci.
Ce lo fa trovare seduto a tavola, disteso sul letto, sopra il water.
Immancabilmente urliamo come aquile, immancabilmente saltella in giro per la casa scompisciandosi  per la mezz'ora successiva.

Credo che mio padre sia stato un buon fratello.

Gli ho prestato un libro di John Fante, A ovest di Roma. Leggetelo, Fante è simpatico e scrive da dio.
E' entrato in salotto tenendo il libro in mano e ha cominciato a leggere ad alta voce:

"Ma era buona la mia Harriet, aveva resistito venticinque anni accanto a me e mi aveva dato tre figli e una figlia, ognuno dei quali, o tutti e quattro, avrei senza rimpianti scambiato per una Porshe, o anche per una MG GT v'70."

Questo libro mi piacerà tantissimo, ci dice. A me basterebbe scambiarvi con un attrezzo da cucina per essere felice.

Mio padre è un ottimo cuoco.

venerdì 24 maggio 2013

Ripetizioni

-Non capisco perché io abbia preso 5 nel tema sulla Divina Commedia. Non ho mica fatto errori di grammatica, mi dice lei.

- Fammi vedere, le dico io

[...] "Dante nella Divina Commedia e precisamente nell'Inferno, racconta i grandi amori tragici che sono ricordati nella storia. Come quello di Romeo e Giulietta. I due ragazzi erano gli eredi di due famiglie nemiche: i Montecchi e i Cappelletti [...]
Le anime andavano in purgatorio per espiare i peccati ed ottenere in questo modo il suffraggio universale [...]
"

Cristosignoreiddio

giovedì 16 maggio 2013

Una scelta

Quando saremo tutti morti credo che entreremo nei libri di storia.
Non personalmente, intendiamoci. Parlo dell'Italia e della crisi che stiamo vivendo. Si andrà ad aggiungere all'elenco dei periodi bui: la fine dell'Impero Romano, l'alto Medioevo, il 1929, e in ultima il nostro Euroflop.
A mio avviso chi voglia far cultura, in qualsiasi termine, deve capire come assumere questo tempo per riuscire a trasformarlo in qualcosa di buono.
Me lo chiedo ogni giorno, quanto e in che modo io debba parlare esplicitamente di questo peggio che non ha mai fine.
Alcune delle persone che seguo scrivono molto meno, perché l'unica cosa di cui ritengono giusto parlare è il nostro presente, ma si accorgono che se la discussione è posta continuamente in termini di critica, diventa ossessione, autolimitando la scrittura stessa.
Certi altri invece continuano a postare notizie di attualità in Fb, le leggo volentieri, molte volte mi sono utili.
Io ho deciso di tenere tutto nel sottosuolo e continuare a costruire.  Perché penso che il bello possa in qualche modo essere salvifico. Credo che ti dia la possibilità di riconoscere il brutto, imparando a distruggerlo. Dal letame nascono i fiori, si cantava giustamente.

C'è una frase in Django, che racconta di come lo schiavo nero, nonostante tutte le mattine radesse sempre il padrone disarmato, non gli abbia mai tagliato la gola.
Io credo che uno dei compiti dell'intellettuale di oggi sia quello di ricordare a chi lo segue di avere un rasoio in mano.
E il mio è una specie di appello a tutti quelli che sanno di avere un seguito: usate bene le vostre parole, perché una parola  giusta potrebbe fare la differenza.
Che li facciate diventare barbieri o assassini, date a quelli che vi ascoltano  gli strumenti di cui hanno bisogno per poter scegliere. Evitate di produrre indifferenza.

Barba o gola, l'importante è che taglino bene.


martedì 7 maggio 2013

Un applauso

E' arrivato da un paio di mesi. Tarchiato, indossa gli occhiali qualche volta, tanto poi l'allenatore glieli fa rimettere nello zaino.
Diciassette anni non di più.
Quando facciamo il riscaldamento mi guarda dall'alto al basso perché sono l'unica femmina e faccio chiacchierare tutta la squadra.
Mi controlla anche se non so come si chiama, né mi interesserà saperlo. 
Spunta alle spalle finché sono al sacco, mi dice tieni le ginocchia più piegate, non vedi? Io lo faccio meglio.
Rimango sbigottita, la prima volta.

La seconda sono dentro il cerchio, come in Fight Club e devo combattere per mezzo minuto con con ciascuno dei compagni che formano il perimetro. I compagni sono trenta. Il combattimento dovrebbe servire come esercizio. Jab-destro, sinistro, destro- montante, gancio. Lui è l'unico che mi prende in faccia. 
Fatalità.
Un pugno sul naso fa un male cane.
E io mi irrito. 

Col mio amico tatuatore fa il sarcastico, se avessi meno tatuaggi, gli dice, forse combatteresti meglio.

Stateci lontani, ci raccomandano.
Io prendo le distanze.
E invece lui spunta all'improvviso come uno gnomo malefico, pronto a puntare il dito. Non rispondo. E lui continua. Sempre.
Potrebbe aver recitato la parte della puttana di Berlino in Million dollar baby, la carogna che ha fatto rompere la schiena a Hilary Swank, per intenderci.

E poi, poi arriva la sera del 15 aprile, il giorno in cui mi comunicano che l'agenzia pubblicitaria in cui lavoro non ha abbastanza soldi per farmi un contratto, ho lavorato gratis per 6 mesi.

Non hai mai pensato di fare la casalinga invece di venire a fare boxe con noi maschi?

La palestra si gela, tutti ci stanno ascoltando. 
Se lo attaccassi mi spaccherebbe il naso e visto che sono stagista da sempre, non avrei abbastanza soldi per aggiustarmelo bene.

Lo guardo negli occhi. E lui mi fa un ghigno.

Non ho alternative. Senza pensarci tanto gli sputo in faccia il paradenti che avevo in bocca.

Lui è pietrificato. Mi piace stare qua, gli rispondo. 
Gli altri cominciano ad applaudire. 
L'allenatore lo afferra per la maglietta e gli dice, adesso stai zitto e fai duecento flessioni davanti a tutti.

Nella vita ci vuole coraggio.



mercoledì 1 maggio 2013

Bestie rare

Ho infinita stima di Matteo B Bianchi, ha fatto tantissime cose fiche. Mi sembra nasca alla fine degli anni Sessanta a Milano, ma questo è un dettaglio wikipedico poco importante.
B Bianchi ha grande gusto, tutto quello che produce è curato, leggero e interessante.
L'ho scoperto una decina d'anni fa ascoltando Dispenser su radio2, il conduttore era Bordone, l'autore era lui.
Molto spesso il suo nome è avvicinato al pop. Io penso che sia una bestia rara, produce cultura nuova senza arroccarsi sulle vette dell'autocelebrazione, è aperto e poliedrico.
Ho sempre pensato che un talentuoso non debba necessariamente recitare la parte del talentuoso. Purtroppo molti intellettuali sono affetti da maledettismo cronico e a questa malattia si affezionano tantissimo.
Lui no, è pulito, bravo e simpatico. Ecco allora alcuni link per conoscerlo meglio, chissà che  a qualcuno di voi possa piacere!

Puntata 19 di Tourette, un'intervista dove si parla dello scrivere, in svariate sfaccettature.
'Tina, la sua rivista, contiene spesso bellissimi racconti. Questo aprile è uscito il nuovo numero.
L'erba cattiva e la collana Tracce di Indiana editore. L'erba cattiva è un romanzo divertente, pieno di musica e ben scritto. Lo sto divorando in questi giorni. Lorenzo, te lo consiglio! La collana Tracce è ovviamente diretta da B Bianchi.
Il suo blog, pieno di segnalazioni utili.
E in ultima le vecchie puntate di Dispenser, se qualcuno riuscisse a recuperare i podcast me lo faccia sapere, io non ci sono riuscita, me li ascolterei volentieri.