domenica 29 settembre 2013

Cena con funghi

Il nostro gattino più che a un batuffolo somigliava a un condor senza piume. Gli mancava il pelo in svariati punti del corpo, pensavamo fossero segni di normali zuffe fra fratelli, era un gatto di fienile, cresciuto in una cucciolata numerosa senza alcuna premura.

L'avevamo adottato felici, lo si era chiamato Alex il Drugo, speriamo che le macchie spariscano in fretta, ci eravamo dette.

Solo che invece di sparire erano apparse a noi. Dappertutto. Eravamo andate dal veterinario, che ci aveva visitati, noi e il gatto. Diagnosi: questa è micosi, dovete curarvi subito, siete impestati.
Lara era stata colpita soprattutto al volto, l'abbronzatura era diventata simile alla pittura di una stanza abbandonata, si scrostava lasciando chiazze più chiare bordate di scuro.

Così c'eravamo comprate la pomata ed era arrivato dicembre. Avevamo deciso di cucinare la cena di natale per le amiche di università, una decina, le più strette. 
Tra chiacchiere, farina e fumo avevamo preparato le orecchiette fatte in casa, due vassoi belli colmi. Alle sette avevamo preso i bicchieri, impilato i piatti e cercato la tovaglia. La tovaglia che mai il nostro appartamento aveva posseduto.

E quindi. Riunione straordinaria fra coinquiline: non possiamo fare mangiare le altre senza la tovaglia, cosa cazzo facciamo?

C'eravamo guardate intorno. Il Drugo stava spaparanzato sul divano, beato e brutto, come solo lui poteva essere.

Ed eccola. 
All'improvviso mi era venuta l'idea del secolo: usiamo il copri divano del gatto. Come tovaglia sarebbe abbastanza grande, ed è a righe bianche e azzurre, rallegriamo la stanza. Cosa ne dite?
Paola ci aveva pensato su e aveva detto, sì dai, ok, ma visto che non possiamo lavarlo almeno sbattiamolo.

Su il divano universitario oltre alla micosi si era depositato molto, molto altro. Non aggiungo dettagli. Sappiate che finché scrivo, ora, sto ridendo imbarazzata, chiedendomi come abbiamo potuto.

Perché sì, davvero, l'abbiamo fatto. Abbiamo apparecchiato la tavola con la nostra tovaglia a righe e la nostra faccia tosta.
Sarà mica pericoloso, avevo chiesto a Paola, la micosi ti può venire agli organi interni?
Bo, mi aveva risposto Paola.

Era stata una cena deliziosa. Le orecchiette erano piaciute a tutte, nessuna si era accorta di niente.

Prima di svelare questo piccolo segreto ho chiesto il permesso alle mie ex coinquiline.
Alle altre amiche presenti a quella cena dico: sono contente che siate vive!

E un applauso agli anticorpi.


martedì 24 settembre 2013

Il fantasma

Vediamo un uomo sulla panchina.
Mi racconti che non ha nessuno. Si tiene la testa fra le mani e così rimane quando gli passiamo davanti.
Che cosa gli è successo? Ti chiedo.
Ha l'Alzheimer ed è senza famiglia, mi rispondi.
Non è mica vecchio, i capelli hanno ancora un colore.

Perdere le parole e poi i pensieri, ti fa capitare di nuovo sulla terra, senza astronave e senza alfabeto.
Diventi fantasma a poco a poco. 

Un mondo senza nomi è troppo complicato, così sbiadisci e poi più niente.

domenica 15 settembre 2013

Lo scoglio

Questo più che un post è una considerazione.

Come forse alcuni di voi sapranno da qualche mese Radio Eureka ha cominciato a funzionare. Avere una radio, anche se piccola e solo sul web, comporta un numero di scazzi infiniti e di varia natura, dal pagamento di migliaia di euro per la nostra amata Siae, alla raccolta differenziata in sala di registrazione.

Cerchiamo di superare i momenti bui e un po' a turno, siamo preda di crisi di identità che arginiamo solo perché crediamo nel nostro progetto, dato che di gloria e retribuzioni al momento non se ne parla.

Sabato sera siamo stati, in veste non ufficiale, all'inaugurazione di un locale a Valdagno. I musicisti, molto bravi fra l'altro, sono amici di Marco. Così ci siamo fermati, c'era l'happy hour e col loro bicchiere tra le dita i ragazzi parevano davvero i clienti più felici del mondo. 
Quando l'alcol finisce si cambia bar.

Credo che il vero scoglio che Radio Eureka debba cominciar a considerare sia el gotto.
Il bicchiere.
Non ci si muove, o lo si fa solo da una certa età in su, se non c'è almeno la promessa di uno spritz gratis.

Cosa c'entra questo con la radio?

Dunque.
Se la nostra pagina Fb conta quasi 700 iscritti solo un settimo forse, poco più, ascolta i podcast sul sito.
Tutti chiedono l'amicizia a Radio Eureka, lo faccio anche io, si clicca un po' a caso, tanto è fb, chiessenefrega.
Va be', pazienza è solo questione di social, il rovescio della medaglia di una pubblicità fatta online.

Quando abbiamo chiesto ai nostri ascoltatori di scriverci qualche spunto o suggerimento per una pagina di notizie da inserire nel sito NESSUNO ha segnato qualcosa, neanche figa, tette o culo. NIENTE. No ideas. 

Magari è la radio che non attira, per carità.

A mio parere, estremizzo volontariamente la cosa, questo però è sintomo di un qualunquismo di paese diffuso nelle nostre zone: ci si lamenta che nei dintorni non c'è nulla da fare, e quando c'è si preferisce stare nel solito locale a bere prosecchi. Massa fadiga. Se proprio si è in vena di cambi drastici si ordina un amaro.

Quando a Valdagno è venuto Vergassola sono arrivata un'ora prima, pensando di non trovare i biglietti. Invece c'erano quattro gatti, mi sono seduta in terza fila, io mi sono goduta lo spettacolo e l'amministrazione comunale ha fatto una figura di merda.

Ora vengo al punto e mi appresto a concludere, che a far la pesante rompo solo i coglioni.
Mi chiedo.
Come riuscire a dare una alternativa valida al gotto, sapendo che il bicchiere, al momento, è l'unica esca per fare uscire la gente di casa?
In che modo far diventare il bicchiere un mezzo e non il fine ultimo di un sabato sera diverso?
E soprattutto, la gente vuole veramente qualcosa diverso di cui occuparsi? Perché a lamentarsi, come vedete, tutti sono bravi, anche io in questo post, ma cosa siamo in grado di offrire noi di Radio Eureka per far sì che le abitudini cambino?

Nuova stagione, nuova sfida.
Buon autunno.

sabato 7 settembre 2013

Dobrodošli nazaj

Arriviamo al cimitero a metà pomeriggio. I cani. Il paese non ha i cancelli, ogni casa è guardata da un pastore tedesco che controlla la strada, l'unica, che perfora il centro e attraversa il bosco.
I camion la percorrono uno dietro l'altro, fanno rotolare le ruote sempre più veloci, quasi non restasse più tempo da vivere e ogni minuto perso fosse seppellito per sempre. Mi chiedo come facciano a non sbandare.

Arriviamo al cimitero sulla sommità di una collina verde, sull'entrata c'è scritto Koncana pot je tvoja tu kraj miru je in pokoja, io non so cosa voglia dire, così faccio una foto. Cerchiamo una tomba senza sapere bene dove trovarla, le lapidi sono più dei tetti che da qui riusciamo a contare uno ad uno guardandoli dall'alto.

Camminiamo con lentezza, sperando di aver scelto il sentiero giusto.

E poi capita che io legga il mio cognome su una tomba di marmo col ventre spaccato, una crepa la percorre e l'afferra, quasi la terra volesse ingoiare anche la pietra perché i corpi non l'hanno saziata abbastanza. Mi avvicino a guardare meglio, la pelle è percorsa da un brivido che raddrizza tutti i peli e fa correre il cuore.

I miei bisnonni sono nati uno dopo l'altra e allo stesso modo sono morti. Dopo la seconda guerra mondiale mio nonno non era più tornato. Di lui ci rimangono cartoline senza grammatica e pochi ricordi che mio padre lascia volentieri morire nei pensieri.

Ho preso un sasso che ho portato da casa e l'ho posato sotto i loro nomi, i fiori non sarebbero durati abbastanza. 

Koncana pot je tvoja tu kraj miru je in pokoja, ho cercato la traduzione su google è la fine del percorso questo è luogo di pace e di riposo.

Lasciamo il cimitero. Al mio cuore sono cresciute le radici, fiorisce ogni volta che ti dico come mi chiamo.