giovedì 22 maggio 2014

Giorgio Fontana

Comincio a parlarvi di Morte di un uomo felice partendo da un dettaglio frivolo e completamente irrilevante: Giorgio Fontana è un uomo bellissimo.
Detto questo. 
Ricominciamo.
Morte di un uomo felice è un libro che, assieme al precedente Per legge superiore, forma un dittico che parla di giustizia. O meglio, di come il sentimento di giustizia possa essere coltivato e vissuto. I protagonisti sono due personaggi speculari, Giacomo Colnaghi, un magistrato, e suo padre Ernesto, un partigiano. La trama, lo sapete, non sarò io a raccontarvela.
Mi interessa di più farvi capire perché il lavoro di Fontana è importante.

Premetto che all'inizio pensavo fosse solo un libro scritto con diligenza da uno scrittore caparbio, ma non particolarmente dotato: dialoghi poco credibili, e uno stile nebbioso, grigio come le pianure in inverno.
Mi annoiava.
Prima di lui avevo letto un gioiellino di Roth e il suo libro a confronto mi pareva scialbo. Proseguivo la lettura soltanto per una discussione iniziata col mio fratellissimo Scandolin, lui l'aveva definito da subito "molto bello" e volevo fargli cambiare idea.

Ovviamente è successo il contrario.

Morte di un uomo felice ha un motore diesel. Parte con calma e acquista velocità gradualmente, sempre di più, fino a superare tutti con un sorpasso poderoso.
Il linguaggio piano non dice più di quello che dovrebbe dire. E' simile a quegli uomini di una volta coi baffi e che parlano poco.

Giorgio ha saputo scrivere qualcosa che va al di là della scrittura stessa e che rimane a prescindere dal come.
Mi ha preso in contropiede facendomi sentire superficiale, ho giudicato troppo in fretta, come fa la maggior parte della gente abituata a sentirsi tradita e alle impressioni veloci. Morte di un uomo felice è un libro che riesce a dare consistenza al nostro paese gracile, mi sono chiesta se riuscirei a fare altrettanto.

Scandolin aveva ragione.

L'autore è uno scrittore coerente, che ha scelto di narrare con una serietà semplice la complessità del farsi giustizia: il suo lavoro ha radici profonde che lo fanno germogliare con garbo.
Quello di Fontana è un buon libro, che non ha bisogno di fuochi d'artificio, né di troppi due punti*.
La dignità del suo raccontare si imprime sul lettore che ha fiducia, così che Morte di un uomo felice ha la bellezza rara di una promessa mantenuta.



*soprattutto in Per legge superiore Fontana ce li infilava dappertutto

giovedì 15 maggio 2014

La perfetta coniugazione.

Ristorante, fase premestruale.

Eri, ultimamente, non so, mi sento strana. Insoddisfatta credo. Anzi no, ho paura. Uscire di casa mi spaventa tantissimo, perché sai, comincio a confrontarmi con l'idea di eternità. E mi domando, riuscirò a stirarmi le camicie, condividere un bagno con Marco -che diventerà più suo che mio- prendermi cura di me stessa e degli altri per tutta la vita che mi rimane? Se ci pensi non ho ancora trent'anni, e per la prima volta mi sento così giovane, che fretta c'è?
Per sempre è per sempre. E infondo a casa mia sto benissimo. I miei li adoro.
E poi.
Come farò senza tutti i miei animali e senza il giardino? Perché lo sai, a me piace vivere con le bestie e in un mini-appartamento potrei tenere al massimo un canarino.
Marco è allergico ai gatti. Ho già pensato che dovrei comprarmene uno senza il pelo e sono orribili, mi è venuto da piangere.
Erika, non sono mammona, non dire così. E' solo che sono un po' in crisi. 
Anche con me stessa, credo.
Mi chiedo, come farò a trovare il tempo per scrivere con un lavoro e una casa da gestire? Ho pensato anche che forse una famiglia non è il mio destino, perché se non scrivo muoio. Mi sa che vivrò in un letamaio.
Ti dico, a me non pare proprio di ingigantire i problemi, anzi.
Però sono  anche stufa dei passatempi del cazzo. 
Tipo, ok che andiamo al bar e a negozi. Ci sta. Ma insomma a un certo punto basta, mi annoio. Ci sono anche altre cose belle nella vita. Tipo i nostri amici. Secondo me li vediamo troppo poco e anche questa cosa mi terrorizza.
Passare una vita vedendo soprattutto gente del paese, ok ci divertiremo un sacco, ma capiamoci. Io sento la mancanza dei nostri amici intellettuali. Lo sai come sono. Mi piace parlare di libri, di cinema, di scrittura. Ho bisogno di discuterne, altrimenti soffro. E mi sento male, perché tradisco la mia natura...

E a questo punto prende la parola santa Erika, che mi ha ascoltato con la pazienza di una martire, bevendo sorsate di Sprite e attorcigliando una ciocca di capelli con le dita.
Amica, mi dice, stai tranquilla, te la sei sempre cavata benone, stai solo diventando adulta. E poi sulla scrittura che problemi ti fai? Uno, intellettuale, o lo è o non lo è.

E' allora che dio mi punisce. Probabilmente anche lui ne aveva le palle piene di sentirmi blaterare. La guardo negli occhi e con aria saccente le rispondo, bè, Erika, è ovvio: io lo è.

Ecco.

Credo che per me sia arrivato ufficialmente il momento di starmene zitta, meglio tornare a scrivere, che dopo un mese sabbatico questo blog è cominciato a mancarmi davvero.