domenica 28 dicembre 2014

Qualche titolo

Questo autunno mi è capitato di andare in libreria e avere soltanto delusioni. Fortunatamente a un ottobre pieno di cattive letture sono seguiti un paio di mesi bulimici, pieni di bei libri divorati con soddisfazione.
Vorrei consigliarvi qualche titolo, così, se siete in vacanza e non sapete cosa fare, potete leggere qualcosa di buono. 

La banda del formaggio, di Paolo Nori è un romanzo di uno scrittore che non avevo mai sentito, piuttosto noto in realtà. Mi è stato consigliato da una persona molto fidata, altrimenti non lo avrei mai preso in considerazione, il titolo mi lasciava un po' così. Una sorpresa meravigliosa. Si racconta il mondo di un editore burbero di cinquantasette anni. Libro poetico, che racchiude sotto la scorza dura dei pensieri del protagonista, una bellezza garbata e fragile. E' diventato uno dei miei libri preferiti di sempre.

Una cosa divertente che non farò mai più è un reportage di David Foster Wallace su un viaggio ai Caraibi a bordo di una nave da crociera. Ogni volta che leggo Wallace penso sempre che abbia un'intelligenza sopra la media, proprio per questo fatico a seguirlo sulle lunghe distanze. Questo libretto è godibile dalla prima all'ultima pagina, soprattutto se in crociera ci si è stati davvero.
Brillante, simpatico, fresco e pieno di humor. La prima notte che l'ho letto poi ho riso a crepapelle durante il sonno, svegliando il povero Marco.

Cattedrale. Sapete quanto mi piacciono le raccolte di racconti. Io Carver non l'avevo mai letto, mi dicevano che ci assomigliavo e allora non mi interessava, sono stupida la mia parte. Adesso che l'ho scoperto, ovviamente mi interessa tantissimo. Cattedrale è un piccolo gioiello. I racconti sono scarni il giusto, ciascuno è un graffio che apre squarci su mondi normali, piccole storie che vengono raccontate con precisione senza mai obbligare il lettore a un'interpretazione immediata. Molto bello anche Se hai bisogno chiama.
Anche se Carver mi piace per la sua semplicità non sono sicura che sia un autore semplice: quando scrive un racconto apre una porta, ma non spiega esattamente al lettore come entrare nella stanza, con quali abiti o quali pensieri.
Einaudi quest'anno ha ripubblicato tutte le opere sue nei Super ET, sicché mi sono comprata anche Principianti e Da dove sto chiamando.

Mi pare sia tutto.
Mi sono accorta rileggendo il post che sono arrivata a questi libri per merito di altre persone.
Morale: fidatevi e lasciatevi consigliare e se potete consigliarmi qualche altro bel titolo, consigliatemelo!

lunedì 15 dicembre 2014

La graduatoria

Per accedere al tfa bisogna superare tre esami.

Il primo l'ho fatto a luglio, il quindici per esattezza. Era una mattina completamente blu, io e Erika non avevamo studiato, lavorando studiare era l'ultimo dei miei pensieri. Così avevo cercato di prenderla con filosofia, avevo proposto alla mia amica di vestirci con la stessa maglietta keep calm and be Barbie, c'era scritto. Io avevo anche il rossetto fucsia.
Come previsto eravamo almeno un migliaio.  Le ragazze sedute vicino al mio posto raccontavano di una app che usavano quando erano in bagno per ripassare le capitali del mondo. Io so a malapena tutte le capitali d'Europa, già se ci muoviamo verso l'Africa comincio a confondermi. Le avevo guardate incerta, non sapendo bene se fosse il caso di vergognarmi per la mia ignoranza o provar pena per la loro secchionaggine.
Abbiamo risposto alle sessanta domande e sulla via del ritorno Erika ha stoppato a Monte Berico per guardare Vicenza senza nuvole.
Evidentemente stavo simpatica alla madonna perché al secondo esame eravamo in duecento e c'ero anch'io. Era novembre ed ero appena tornata da Milano, sfinita. C'era storia, geografia, linguistica e Montale. Ci avevano fatto togliere le merendine dal banco, solo l'acqua, la penna e il foglio.
Al bagno si va solo per urgenze gravi, mi raccomando, ci aveva detto il presidente. Riesco a fare il compito tendendola fino all'ultimo.
E forse qualcuno vuole davvero che io faccia l'insegnante, mi dico, perché miracolosamente passo all'orale.
Ci interrogano a mo' di speed date: quattro professori su un tavolo lungo tartassano ciascuno su ogni materia d'esame. I professori sono rilassati, voi siete i bravi, mi dicono, ormai il peggio è passato.

Supero l'orale e mi sento benissimo. Vado in Feltrinelli e mi compro un paio di romanzi per festeggiare, poi arriva Lorenzo e ce ne andiamo a pranzo insieme. Disseppellisco il futuro di insegnante che in questi anni avevo dimenticato: per la prima volta in tutta la mia vita mi sembra un'opportunità reale.
Pazienza per i 2.600 euro che dovrò pagare di tasca mia per frequentare il tirocinio - un corso che mi abiliterà, ma che non mi darà una cattedra - pazienza il lavoro in ospedale da combinare al pendolarismo. Ce l'ho fatta, mi dico. E comincio a scrivere il primo paragrafo di questo post che oggi non avrà la fine che pensavo.

Sì, perché ieri sono uscite le graduatorie definitive e io sono idonea ma non ammessa.
Significa che ho superato tutte le prove, ma non è detto che entri. Non ci sono abbastanza posti.
Io sono la centoventesima su centodiciassette. Ho lo stesso punteggio degli ultimi vincitori, ma sono più vecchia, quindi scendo in graduatoria.

Mi si contorcono le budella e mi prende la voglia di farmi spiegare da Walter White come si costruisca una bomba.

In segreteria mi dicono che devo avere pazienza. Se ci saranno rinunce sarò tra le prime ad essere chiamata.
Aspetti fino all'otto gennaio e tenga d'occhio il nostro sito perché comunque non la contatteremo, e dovrà immatricolarsi in pochissimi giorni, ah ovviamente se entra.

Se entro.

Cara  madonna di Monte Berico: io credo di esserti stata sulle palle fin dall'inizio, perché questo è un colpo basso che neanche un pugile sarebbe riuscito ad assestare così bene.

giovedì 4 dicembre 2014

Colazioni

In cucina abbiamo un lampadario arancione che fa una luce composta, l'abbiamo scelto quest'estate di comune accordo e quando l'abbiamo montato e ci siamo accorti che non riusciva a illuminare l'intera stanza ci siamo rimasti male e ne abbiamo aggiunto uno di verde.
I due lampadari sono dello stesso tipo, piuttosto pigri si accendono svogliati e per brillare ci mettono un quarto d'ora buono.

Dopo quattro mesi di convivenza è quasi arrivato l'inverno, al mattino scendiamo per la colazione e fuori è buio pesto, si vedono solo gli alberi neri e la strada bagnata. 
Chi mi aveva detto che la convivenza ti fa scoprire aspetti nuovi del tuo compagno aveva ragione.

Accendo la luce per riuscire a mettere il caffè dentro la moka. 
Marco si copre gli occhi ed emette un gemito sofferente, neanche avesse visto Medusa, e si stesse trasformando in pietra. Macchè. Mi dice che la mattina lui ha gli occhi sensibili e che preferisce se restiamo nell'ombra, che problema c'è, Ilaria?

Ora, c'è il problema che io già sono maldestra di mio figuriamoci se proprio non ci vedo. E che la mattina sono subito piena di energie e vorrei condividerle col mondo, mica con Voldemort.

Decido di non badarlo, lascio il lampadario splendere fioco.
Decide di non parlarmi, non mi rivolge la parola fino a sera.

Il giorno dopo accendo la luce. Lui la spegne. Così gli urlo che non ci vedo e lui mi dice che la luce del frigo dovrebbe essere abbastanza per quello che devo fare.
Valuto se tirargli la caffettiera in testa, poi scelgo di piantargli un bel muso lungo. 

Quando il tempo è buono e le giornate sono chiare usiamo la luce naturale, fila tutto liscio. Poi arriva questa settimana e dal cielo cadono i fiumi.

Suona la sveglia, Marco mi abbraccia e come prima cosa mi dice che potrei rimanere a letto visto che sono a casa a preparare l'esame: posso fare colazione da sola, con la luce, dopo di lui. 
Io mi offendo a morte perché gli ricordo che starò sui libri almeno una decina di ore, da sola, a ripetere la prima guerra mondiale al muro, che è piuttosto di poche parole, e che stare con qualcuno di vivo mi servirebbe per affrontare meglio una giornata di merda.

Ci insultiamo. 

Poi arriva la sera, facciamo pace e raggiungiamo un accordo equo: un giorno luce, un giorno buio. 

Ieri era il mio giorno. 
Marco si era calato sul viso un cappuccio di una felpa a righe, beveva il suo thé come l'avrebbe fatto un prigioniero di Alcatraz.
Oggi è stato il suo, buio!, me l'ha annunciato tutto contento scendendo le scale per andare in cucina. Ho versato tutto il caffè sul lavandino.
Se vuoi, mi ha concesso Marco, puoi farti luce col lumino del profumatore per ambienti.

Ora, sapete, io credo che la convivenza più che la via per il matrimonio, mi stia aprendo la via della santità.